
Il segretaro di Stato Parolin | Foto Vatican News
A due anni dall’attentato a opera di Hamas in Israele, il cardinale e Segretario di Stato Pietro Parolin ha parlato ai media vaticani del 7 ottobre e della situazione a Gaza. Di seguito alcuni estratti dell’intervista.
Sul 7 ottobre
«L’attacco terroristico compiuto da Hamas e da altre milizie contro migliaia di israeliani e di migranti residenti, molti dei quali civili, che stavano per celebrare il giorno della Simchat Torah, a conclusione della settimana della festa di Sukkot, è stato disumano ed è ingiustificabile. La brutale violenza perpetrata nei confronti di bambini, donne, giovani, anziani, non può avere alcuna giustificazione. È stato un massacro indegno e – ripeto – disumano. La Santa Sede ha espresso immediatamente la sua totale e ferma condanna, chiedendo subito la liberazione degli ostaggi e manifestando vicinanza alle famiglie colpite durante l’attacco terroristico. Abbiamo pregato e continuiamo a farlo, così come continuiamo a chiedere di porre fine a questa spirale perversa di odio e di violenza che rischia di trascinarci in un abisso senza ritorno».
Sulla situazione a Gaza
«Oggi la situazione a Gaza è ancora più grave e tragica rispetto a un anno fa, dopo una guerra devastante che ha mietuto decine di migliaia di morti. È necessario recuperare il senso della ragione, abbandonare la logica cieca dell’odio e della vendetta, rifiutare la violenza come soluzione. È diritto di chi è attaccato difendersi, ma anche la legittima difesa deve rispettare il parametro della proporzionalità. Purtroppo, la guerra che ne è scaturita ha avuto conseguenze disastrose e disumane… Mi colpisce e mi affligge il conteggio quotidiano dei morti in Palestina, decine, anzi a volte centinaia al giorno, tantissimi bambini la cui unica colpa sembra essere quella di essere nati lì: rischiamo di assuefarci a questa carneficina! Persone uccise mentre cercavano di raggiungere un tozzo di pane, persone rimaste sepolte sotto le macerie delle loro case, persone bombardate negli ospedali, nelle tendopoli, sfollati costretti a spostarsi da una parte all’altra di quel territorio angusto e sovrappopolato. È inaccettabile e ingiustificabile ridurre le persone umane a mere “vittime collaterali”».
Su quanto possa fare la comunità internazionale
«Certamente può fare molto di più rispetto a ciò che sta facendo. Non basta dire che è inaccettabile quanto avviene e poi continuare a permettere che avvenga. C’è da porsi delle serie domande sulla liceità, ad esempio, del continuare a fornire armi che vengono usate a discapito della popolazione civile. Purtroppo, lo abbiamo visto, finora le Nazioni Unite non sono state in grado di fermare quanto sta accadendo. Ma ci sono attori internazionali che sarebbero invece in grado di influire maggiormente per porre fine a questa tragedia e occorre trovare una strada per dare alle Nazioni Unite un ruolo più efficace nel porre fine alle tante guerre fratricide in corso nel mondo».
Sul ruolo dei credenti, il rapporto tra preghiera e testimonianza concreta
«Sono un battezzato, sono un credente, sono un prete: per me la preghiera incessante davanti a Dio perché ci assista, ci aiuti e intervenga per porre fine a tutto ciò sostenendo gli sforzi delle donne e degli uomini di buona volontà è essenziale, quotidiana, fondamentale. Papa Leone ci ha invitato ancora una volta a recitare un Rosario per la pace l’11 ottobre. Ma vorrei anche ricordare che la fede cristiana o è incarnata o non è… Siamo seguaci di un Dio che si è fatto Uomo assumendo la nostra umanità e ci ha testimoniato che non possiamo essere indifferenti rispetto a ciò che accade intorno a noi e anche lontano da noi. Per questo la preghiera non sarà mai abbastanza, ma non sarà neanche mai abbastanza l’impegno concreto, la mobilitazione delle coscienze, le iniziative di pace, la sensibilizzazione, anche a costo di apparire “fuori dal mondo”, anche a costo di rischiare: c’è una maggioranza silenziosa – composta anche da tanti giovani – che non si arrende a questa disumanità. Anche loro sono chiamati a pregare. Pensare che il nostro ruolo, come cristiani, sia quello di rinchiuderci nelle sacrestie, lo trovo profondamente sbagliato. La preghiera chiama anche ad un impegno, a una testimonianza, a scelte concrete».
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