
Il cuore e la mente possono ancora reagire alle emozioni inattese con incredulità? La risposta è sì. Anche perché in soccorso può arrivare il teatro. Dal 3 al 9 agosto prossimi, tra Jerzu e Ulassai, il compito di stupire gli spettatori e stupire sé stessi sarà così affidato alla XXVI edizione del Festival dei Tacchi. Una manifestazione, organizzata dalla compagnia teatrale Cada die Teatro, che trova da sempre in Ogliastra terreno fertile per idee e riflessioni che partono dal locale per arrivare al globale.
Filo conduttore
«Questa edizione – spiega Giancarlo Biffi, direttore artistico del Festival dei Tacchi – nasce in continuità con le altre, mantenendo fede a un teatro che viene realizzato nel paesaggio di Jerzu e Ulassai. Il filo che lega quest’anno la manifestazione è quello dello stupore: non quello mancato, ma soprattutto quello che stiamo perdendo». Il programma ricalca così l’intenzione di dare nuova vivacità a un sentimento essenziale per lo spirito critico oltre che per tornare a meravigliarsi. «In questa edizione – continua Biffi – c’è un grosso plot femminile. Inizieremo con Sabina Guzzanti con Liberidì Liberidà. Poi avremo Concita De Gregorio con Un’ultima cosa. Cinque invettive, sette donne e un funerale, in cui grazie a un lavoro di ricerca su alcune figure femminili, tra cui Maria Lai, immagina quale sarebbe stato il loro commiato. Ma anche Perfette Sconosciute, di Jacopo Veneziani, che con il suo spettacolo parla di 10 artiste non conosciute del mondo dell’arte del passato. Raccontare queste donne alla stazione dell’arte di Maria Lai farà poi la differenza».
Spazio sarà però riservato anche ad altri temi e artisti importanti, tra i quali Ascanio Celestini, così come alle produzioni di Cada die Teatro. Una varietà che permette di guardare a tutti i lati del sentimento che guida la nuova edizione. «Lo stupore non ha solo valenza positiva – ammonisce Biffi – Noi non riusciamo più a stupirci quando sentiamo di migliaia di bambini morti a Gaza o sotto i bombardamenti in Ucraina. Lo stupore è anche sorprendersi della disgrazia. Dobbiamo preservare anche questo sentimento e riuscire a indignarci dopo esserci stupiti, perché questo significa eccezionalità. Se assorbiamo tutto senza mai stupirci, ci impoveriamo non solo come singoli, ma come umanità. Il teatro, nel suo piccolo, prova a porre questi problemi: ci si può stupire sia delle disgrazie altrui che dell’incanto».
L’unione con il paese
Il fulcro della manifestazione resta, tuttavia, il rapporto con un territorio che edizione dopo edizione si è fatto sempre più protagonista. «Ci sembra ormai che il festival sia diventato qualcosa di irrinunciabile per la comunità che lo ha fatto proprio. Questo anche perché non c’è solo il Festival: a Jerzu c’è il Teatro Comunità, dove si parte da un tema caro alla popolazione per presentarlo nei giorni di Natale; a Ulassai si lavora invece con i bimbi delle scuole primarie e medie per tutto l’anno per poi avere un esito scenico che presentiamo durante il Festival». Un’opportunità di lavoro e di sviluppo di relazioni che fa balzare agli occhi la capacità dei più piccoli di portare la quotidianità sul palco. «I bambini delle primarie ci hanno sorpreso con la loro facilità dello stare insieme e con la loro abitudine al confronto con l’adulto – conclude Biffi – Anche in scena portano questo loro sapere che è dato dalla vita».
Matteo Cardia (Articolo pubblicato su Kalaritana Media del 22 giugno)
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