
Silvana Migoni e Antonio Melis ospiti nei giorni scorsi a Radio Kalaritana
Affrontare la violenza di genere significa anche lavorare su chi la esercita. È questa la convinzione alla base del progetto Game (Gruppo ascolto maltrattanti in emersione), portato avanti dall’associazione Donne al Traguardo a Cagliari. Obiettivo, favorire la rieducazione degli autori di violenza, attraverso un percorso terapeutico strutturato, in collaborazione con istituzioni, servizi sociali e giustizia.
Il progetto nasce tra il 2013 e il 2014 su impulso della stessa associazione, attiva da anni nel sostegno alle vittime di abusi, e risponde a un’esigenza emersa proprio nei centri antiviolenza da essa gestiti. «Molte donne ci chiedevano se fosse possibile aiutare i partner a cambiare – spiega Silvana Migoni, presidente di Donne al Traguardo –. Non volevano separarsi, ma cercavano un’alternativa. Anche la Regione ci ha sollecitato in questo senso, così abbiamo studiato modelli già attivi, come il Centro d’ascolto maltrattanti (Cam) di Firenze, e avviato la formazione degli operatori a Cagliari».
Il programma si rivolge a uomini autori di violenza di ogni tipo (fisica, verbale, psicologica, economica e sessuale) nelle relazioni affettive e familiari e a quelli che compiono atti persecutori (stalking) e abusi sessuali. A guidare il percorso è lo psicologo e psicoterapeuta Antonio Melis, coordinatore del progetto. «Lavoriamo in gruppo – spiega Melis – con incontri settimanali, partendo dalle basi della violenza. Molti non sono nemmeno consapevoli di aver esercitato un abuso. Prendiamo casi comuni, come il silenzio punitivo: non parlare per giorni o settimane come forma di controllo. Aiutiamo gli uomini a riconoscere questi comportamenti, a comprenderne le origini e le conseguenze, e a sviluppare empatia verso le vittime».
Al centro del metodo c’è la presa di coscienza e l’assunzione di responsabilità, anche grazie al lavoro collettivo. «Spesso – continua Melis – all’inizio c’è una forte resistenza: si minimizza, si nega o si colpevolizza la partner. Ma proprio il gruppo, con uomini che sono più avanti nel percorso, diventa una risorsa preziosa, aiutando i nuovi partecipanti a mettersi in discussione e a riconoscere l’errore».
L’esperienza è strutturata nel tempo e prosegue anche dopo la fase iniziale, che dura circa un anno. «Abbiamo attivato un follow-up mensile – spiega Melis – per monitorare l’evoluzione dei partecipanti. I cambiamenti osservati sono concreti e importanti: maggiore consapevolezza dei propri comportamenti, migliore gestione delle emozioni e relazioni più sane e rispettose. C’è anche un gruppo WhatsApp dedicato, dove gli ex partecipanti possono continuare a confrontarsi, chiedere supporto nei momenti di difficoltà e non sentirsi mai soli. La relazione con la nostra realtà non si interrompe, restiamo un punto di riferimento costante».
Il progetto Game è parte di una rete che coinvolge forze dell’ordine, magistratura, avvocati, UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) e servizi territoriali. «Questa sinergia è fondamentale – sottolinea la Migoni –. In molti casi, il primo contatto avviene proprio tramite questi canali».
Per l’associazione Donne al Traguardo si tratta di un impegno non ideologico, ma profondamente umano. «Non ci interessa etichettare l’uomo violento come ‘cattivo’ – spiega la Migoni -. Vogliamo lavorare sull’umano, sull’errore, sulla consapevolezza e sulla possibilità di cambiamento. Nessuno ci guadagna con la violenza: si perde tutto, dai legami familiari al rispetto di sé. Noi crediamo che intervenire in questi casi sia una vera azione di prevenzione».
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