
Le condizioni di una scuola di Deir Al Balah, nella striscia di Gaza, dopo un attacco missilistico israeliano | Foto Unicef
Una lettera per convincere il Governo e la premier Giorgia Meloni a riconoscere lo Stato di Palestina. Questa l’iniziativa di 38 ex ambasciatori italiani resa nota nelle ultime ore e si unisce alle richieste arrivate da diverse parti della società civile italiana su un diverso modus operandi riguardo alla questione palestinese. Pasquale Ferrara, diplomatico di carriera ed ex Direttore degli affari politici del Ministero degli Esteri, tra i promotori della lettera, è intervenuto ai microfoni di Radio Kalaritana per parlare dell’iniziativa.
Le motivazioni
«La lettera – ha affermato Ferrara – nasce da una motivazione triplice. Innanzitutto, davanti alla catastrofe umanitaria di Gaza, abbiamo ritenuto che non si potesse rimanere in silenzio e fosse necessario anche da parte di professionisti delle relazioni internazionali prendere una posizione forte, chiara e inequivocabile. Quindi una motivazione etica. La seconda motivazione è più politica e diplomatica, perché in questi mesi abbiamo visto che tutti gli appelli internazionali, per quanto di grande livello e molto ben articolati al governo Netanyahu, di arrestare questa inutile carneficina che colpisce vittime civili innocenti, non hanno avuto nessun effetto. Quindi abbiamo pensato di proporre alcune misure concrete – ha specificato Ferrara – come per esempio mettere fine a qualunque tipo di relazione con Israele nel settore della difesa e militare, sanzionare i ministri del governo Netanyahu più aggressivi che sono contro la prospettiva di uno Stato palestinese e incoraggiano addirittura i coloni in Cisgiordania, fino ad arrivare alla prospettiva di parlare di una rioccupazione di Gaza, e in terzo luogo unirsi al consenso europeo che sta crescendo per sospendere l’accordo di associazione con Israele, fino a quando Tel Aviv non farà passi avanti sul rispetto dei diritti umani fondamentali».
Riconoscere lo Stato palestinese potrebbe essere fondamentale per costringere Israele a rimettere sul tavolo la questione e sedare gli estremismi.
«Il riconoscimento della Palestina – ha proseguito il diplomatico – in tutto questo è cruciale perché rimette sul tavolo un argomento che è ormai sparito dai radar. Soprattutto del governo israeliano che ormai non parla più neanche più di Cisgiordania, ma parla di Giudea e Samaria, e nega un orizzonte politico per i palestinesi. Se non si vuole la soluzione dei due stati, che a nostro avviso è l’unica praticabile, allora qual è l’alternativa? Questa situazione di negazione del diritto dei palestinesi ad avere un loro Stato genera disperazione e in molti casi anche reazioni violente e l’estremismo che noi naturalmente condanniamo».
L’importanza della diplomazia
Nel frattempo, la situazione sul campo resta fortemente critica. Prosegue l’azione militare e la militarizzazione degli aiuti umanitari, nonostante l’annuncio delle pause tattiche da parte di Tel Aviv. Con il governo isrealiano che continua a non escludere il trasferimento forzato dei gazawi fuori dalla Striscia.
«A parte il discorso che si tratta di una prospettiva dal punto di vista etico e politico inaccettabile e impraticabile, è qualcosa che viola tutti gli accordi internazionali, a partire dall’accordo di Oslo del 1993 e non ha nessun fondamento di nessun tipo se non quello della rioccupazione di tutti i territori che adesso dovrebbero appartenere alla prospettiva di uno Stato palestinese. Si dice che è irrealistico parlare di uno Stato palestinese perché non c’è un territorio. Tuttavia, i palestinesi un territorio ce l’avevano, è stato loro sottratto attraverso l’occupazione ormai pluridecennale. Non si può accettare un argomento di questo tipo, perché significa legittimare la violenza e gli atti unilaterali, mentre invece quello che bisogna per privilegiare è il dialogo, la diplomazia, gli accordi e una prospettiva consensuale: perché non c’è una soluzione militare a questo conflitto, ma solo una soluzione politica».
Quanto accade a Gaza e in Cisgiordania mette nuovamente al centro del dibattito l’importanza della diplomazia e delle soluzioni politiche ai conflitti.
«Abbiamo visto in questi anni tutte le presunte soluzioni militari dove ci hanno portato, basta fare l’esempio dell’Afghanistan per non parlare della Libia o dell’Iraq. C’è la prova provata della storia recente che questo tipo di azioni non producono nessun risultato duraturo. Schierarsi a favore della pace e del dialogo non è affatto utopia – ha concluso Ferrara – è l’unica prospettiva veramente realistica e duratura, mentre la guerra infinita, quella sì è del tutto irrealistica e non corrisponde affatto all’aspirazione dell’umanità».
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