“Fishing for the Planet”: insieme per proteggere i fondali marini Il progetto promosso dall’Associazione “Blue Life” coinvolge università, pescatori, subacquei e volontari nella mappatura e rimozione delle reti fantasma

Simone Mingoia ospite stamattina a Radio Kalaritana

Si chiama Fishing for the Planet il progetto nato in Sardegna nel 2021 e cresciuto fino a diventare una delle iniziative più promettenti per la tutela dell’ambiente marino. L’obiettivo è tanto semplice quanto ambizioso: localizzare e rimuovere reti da pesca e nasse abbandonate sui fondali, trasformando uno dei problemi più invisibili – ma devastanti – del mare in un’occasione concreta di collaborazione tra scienza, comunità locali e istituzioni.

A promuoverlo è l’associazione Blue Life, guidata da Simone Mingoia, ospite stamattina a Radio Kalaritana, con il sostegno di Università di Cagliari, Fondazione di Sardegna, Regione Sardegna, comuni, cooperative di pescatori e forze dell’ordine.

Reti fantasma: trappole silenziose

Le cosiddette ghost nets — reti da pesca smarrite o abbandonate — rappresentano una minaccia silenziosa ma costante per gli ecosistemi marini.  «Nell’ultima operazione di recupero, a giugno 2025, abbiamo raccolto oltre 600 nasse – spiega Mingoia – e circa il 15% conteneva ancora pesci vivi, molluschi e crostacei. Sono strumenti che continuano a pescare anche dopo essere stati abbandonati». Secondo le stime iniziali, nei fondali sardi potrebbero esserci fino a 5.000 attrezzature fantasma.

La scienza a supporto: il ruolo dell’Università

Determinante il coinvolgimento dell’Università di Cagliari, per la definizione dei protocolli scientifici necessari a valutare caso per caso gli interventi di rimozione.

«Intervenire su fondali delicati, come quelli ricoperti da Posidonia oceanica, può causare danni maggiori della presenza stessa dell’attrezzo –  spiega Alessandro Cau, docente del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente – a Radio Kalaritana -. Perciò servono dati, analisi e valutazioni ambientali approfondite prima di ogni intervento».

In parallelo, l’università sta lavorando a un monitoraggio a lungo termine per misurare l’effettivo impatto delle reti abbandonate sugli stock ittici, anche tramite l’analisi di immagini video e rilievi subacquei.

I pescatori in prima linea

In prima fila anche i lavoratori del mare. La Cooperativa Pescatori Isola Rossa, rappresentata dal presidente Sandro Curcio, è parte attiva del progetto. «Le reti fantasma non solo danneggiano l’ambiente, ma sono un problema anche per la pesca professionale – spiega -. Creano danni economici, ostacolano la navigazione e sono pericolose anche per chi lavora in mare o fa immersioni». La cooperativa collabora alla segnalazione, rimozione e trasporto a terra delle reti, operando insieme a diving specializzati e alle autorità competenti.

Una rete di collaborazioni

Il progetto coinvolge una fitta rete di realtà: dalla Capitaneria di Porto ai Carabinieri subacquei, fino a Lega Navale, Lega Ambiente, FIPSAS e i Comuni di Cagliari e Quartu Sant’Elena. Fondamentale anche il recente supporto normativo: con l’entrata in vigore della Legge Salvamare, le amministrazioni locali possono ora gestire con più efficacia lo smaltimento di queste attrezzature.

Prossimi passi: recuperi, censimenti e scuole

Le prossime operazioni sono previste per ottobre, con nuove attività di recupero e l’avvio di un censimento scientifico delle specie marine intrappolate nelle nasse abbandonate. Obiettivo: misurare l’impatto reale su biodiversità e pesca, anche per fornire dati utili a future politiche ambientali.

Parallelamente, Blue Life porta avanti un intenso lavoro di educazione ambientale nelle scuole. Con laboratori, incontri e simulazioni, gli studenti imparano a conoscere le dinamiche dell’ecosistema marino e il funzionamento delle attrezzature da pesca. «Stiamo costruendo una rete vera, fatta di persone, competenze e passione – conclude Mingoia -. Solo così possiamo davvero proteggere il nostro mare».


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