
Nessuna garanzia per il futuro industriale della Portovesme Srl. L’abbandono annunciato di Glencore ha portato i sindacati ad alzare nuovamente la voce e ad annunciare lo stato di mobilitazione dopo un’ultima assemblea. A rischio trecento buste paga, le ultime rimaste dopo i tagli degli ultimi quattro anni al personale da parte della multinazionale che in Sardegna manteneva attiva la produzione di zinco. Sul tema, ai microfoni di Radio Kalaritana, è intervenuto il segretario regionale della Fiom CGIL Roberto Forresu.
La situazione
«La situazione è molto preoccupante – chiarisce Forresu – perché contrariamente a quanto garantito il 27 dicembre dal ministro Urso e dalla ministra Calderone durante la visita nel Sulcis, in questa circostanza è stata dimenticata la condizione di strategicità delle produzioni. Anzi, è stato dichiarato, quasi con tranquillità, che si dovrà rinunciare alle produzioni di piombo e zinco perché questa è la volontà dell’azienda, che avrebbe fatto, secondo quanto dichiarato dal ministro Urso, tutto il possibile anche per trovare interlocutori validi a rilanciare le produzioni in questione».
Fiom, FSM e Uilm hanno partecipato all’ultimo tavolo tecnico con il Governo e la Glencore in audizione, per rappresentare i lavoratori coinvolti negli appalti metalmeccanici. Le notizie arrivate da Roma hanno costretto a un nuovo incontro con i lavoratori che vedono un futuro ricco di dubbi.
«Noi oggi ci siamo riuniti in assemblea per denunciare le nostre preoccupazioni, perché quanto accaduto testimonia come il rischio che corriamo è molto più alto rispetto alla situazione di oggi – sottolinea il segretario della FIOM sarda – A oggi varcano i cancelli solo 300 lavoratori sui 1500 di quattro anni fa e rispetto ai 1200 di due anni fa. Questo lascia intravedere un disegno che parte da lontano, che già aveva smantellato buona parte della forza lavoro esistente e che era legata al mondo degli appalti. Ora le nostre preoccupazioni derivano dal fatto che verrà a mancare una produzione di piombo e zinco in maniera definitiva in Sardegna e in Italia, e dal fatto che l’azienda andrà avanti solo i forni waeltz che inizialmente erano stati scartati perché quelle autorizzazioni erano legate alle produzioni esistenti nel reparto elettrolitico, ovvero ad autorizzazioni per produzioni aggiuntive che garantivano economia per il territorio e guadagni alla stessa proprietà».
Sul tavolo restano attualmente la produzione minima dai fumi di acciaieria dello zinco, ma soprattutto la transizione verso la lavorazione del litio. Sul tema però Forresu sottolinea diversi interrogativi.
«Su un tema come il litio bisognerà capire le volontà della popolazione del Sulcis Iglesiente – ammonisce Forresu – Un conto è se hai a che fare con una fabbrica che da da mangiare a più di cinquecento persone e che produce già ciò che conosce. Un altro è produrre in minima parte lo zinco dai fiumi di acciaieria, con i guadagni dettati da quel tipo di produzione, che però ha come conseguenza una grande quantità di scarti che finiscono in discarica e che potrebbero avere un forte impatto a livello ambientale. La discussione non può essere affrontata solo al livello dell’azienda che vorrebbe rilanciare l’azienda attraverso altre produzioni, che potrebbero essere un quarto di quanto prodotto in precedenza, e magari inquinare di più. Sarà necessario esaminare quali saranno le conseguenze della produzione di litio o di abbancamenti di terre rare annunciate e che dovrebbero essere trasferite in tutta Italia. Su questi punti ci dobbiamo interrogare».
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