
Papa Leone XIV durante una delle ultime udienze
Insieme. Quando la sera dell’8 maggio scorso papa Leone XIV si è affacciato per la prima volta al loggione centrale della Basilica Vaticana per la Benedizione «Urbi et Orbi», mi hanno colpita due parole del saluto pronunciato: il forte e ripetuto richiamo alla pace e la parola «insieme», ritornata tre volte: «camminare insieme a voi», «camminare insieme verso quella patria che Dio ci ha preparato», «cercare insieme come essere una Chiesa missionaria», che costruisce ponti, aperta ed accogliente, nel dialogo e nell’amore. Poi c’era la sua immagine: lo sguardo fermo e umile, e paramenti cui non eravamo più abituati: la mozzetta rossa del pastore supremo della Chiesa (ma non bordata di ermellino), la croce pettorale d’oro, la stola pontificia che avevano a suo tempo indossato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Le scarpe, quando lo avremmo poi visto a figura intera, ricordavano quelle di Francesco. Suole di chi è abituato a camminare e vuole continuare a farlo.
Papa Leone ha stile sobrio e parole essenziali. Non ama baciare i bambini ma li accarezza e benedice amorevolmente. A san Pietro non si sottrae ai giri in papamobile spingendosi fino al fondo di via della Conciliazione. Risponde alle domande dei giornalisti, che in più occasioni lo hanno aspettato e incontrato all’uscita da Castelgandolfo, dove ha scelto di tornare non solo per le vacanze estive ma anche – quando può – il martedì, tradizionalmente giorno di riposo per il Papa. Oltre che pastore universale è vescovo di Roma e primate d’Italia (come ha ricordato al Quirinale, il 14 ottobre scorso), e mi sembra tenga all’importanza di tutti e tre i titoli papali.
Nei confronti delle altre religioni è stato molto chiaro all’Udienza generale del 29 ottobre de dicata al 60° anniversario della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, quando ha condannato l’antisemitismo senza negare malintesi, difficoltà, e perfino conflitti nei rapporti con gli ebrei, ma ri cordando altresì che mai questi hanno impedito la prosecuzione del dialogo, né devono oggi distogliere all’amicizia le circostanze politiche e le ingiustizie. Nello stile di governo mi sembra fermo ed inclusivo, e nei confronti della Curia mi sembra ci sia la volontà di camminare insieme, riuscendo negli stessi giorni ad accompagnare il Giubileo di mondi diversissimi. «Regola suprema, nella Chiesa, è l’amore», ha ricordato il 26 ottobre scorso nell’omelia per il Giubileo delle equipe sinodali e organismi di partecipazione, «nessuno deve imporre le proprie idee, tutti dobbiamo reciprocamente ascoltarci». Tessitori di unità. A partire dal Papa.
Vania De Luca, vaticanista Tg3 (Articolo apparso su Kalaritana Avvenire del 9 novembre)
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