TESTIMONIANZE

Voci di speranza alla chiusura del Giubileo diocesano Giovani, carcere e accoglienza raccontano la forza del Vangelo prima della Messa conclusiva

La testimonianza di Francesco Porcu (foto Carla Picciau)

Tre intense testimonianze di speranza, illuminate dalla luce del Vangelo, hanno preceduto la Messa di chiusura del Giubileo diocesano. Gli interventi, alternati alle preghiere lette da suor Francesca Diana e suor Bernardetta Dessì, sono stati introdotti dalla direttrice dell’Ufficio diocesano delle comunicazioni sociali, Maria Luisa Secchi. Tre voci diverse – provenienti dal mondo dei giovani, dal carcere e dall’esperienza dell’accoglienza accanto alle fragilità – hanno raccontato come la speranza cristiana continui a farsi carne nella vita quotidiana.

A prendere per primo la parola è stato Francesco Porcu, membro della pastorale giovanile diocesana e della parrocchia Madonna della Strada di Cagliari, che ha condiviso la propria esperienza vissuta durante l’Anno Santo. Tra i momenti più significativi, la partecipazione al Giubileo dei giovani a Roma, vissuto in un clima di profonda gioia. «Guardando tanti giovani presenti, in ricerca – ha raccontato – ho compreso il significato più profondo della speranza», fino al passaggio attraverso la Porta Santa e alla Veglia a Tor Vergata. «Porto con me la speranza come esperienza di amore, che ha un volto e un nome: Gesù».

La speranza dentro e fuori le mura del carcere è stata al centro della testimonianza di Pino Siddi, diacono impegnato nel carcere di Uta, che ha ripercorso due momenti significativi di «un anno di grazia vissuto nel carcere di Uta». Il primo è stato la realizzazione della croce sarda, segno giubilare costruito dai detenuti con il legno di ginepro donato da un agente della polizia penitenziaria. Consegnata all’arcivescovo il giorno di Natale 2024, la croce ha guidato la processione di apertura del Giubileo e sarà ora riconsegnata ai volontari della pastorale diocesana penitenziaria.

Il secondo momento ha riguardato la partecipazione simbolica dei detenuti al Giubileo a loro dedicato a Roma, resa possibile attraverso don Gabriele Iiriti, responsabile della pastorale diocesana penitenziaria e cappellano del carcere di Uta, che ha portato con sé i fogli sui quali i detenuti avevano scritto i loro pensieri, successivamente consegnati a Papa Leone XIV.

La terza testimonianza è stata affidata a suor Anna Cogoni, responsabile della Casa di accoglienza Sant’Anna – segno giubilare, inaugurata ieri – e alla volontaria Alessandra Zini. Suor Cogoni ha ricordato come le opere di accoglienza attivate in Diocesi nascano da incontri concreti e dall’ascolto dei bisogni: dai minori in situazione di fragilità alle donne maltrattate, dai padri separati alle donne senza dimora. «Case – ha aggiunto Alessandra Zini – animate dal desiderio di offrire il calore della famiglia, intesa come comunità di accoglienza e solidarietà, capace di donare nuove possibilità di riscatto e di futuro».


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