
Il tribunale di Sassari
Michele Fresi era pienamente capace di intendere e di volere e consapevole dei rischi legati all’assunzione massiccia di sostanze stupefacenti. È questo il punto fermo messo nero su bianco dalla Corte d’Assise di Sassari nelle motivazioni della sentenza che ha condannato all’ergastolo il ventottenne di Arzachena per l’omicidio del padre, Giovanni Fresi.
Secondo i giudici, l’imputato non presentava alcuna patologia psichica tale da alterare la capacità di valutare la realtà o di comprendere la portata delle proprie azioni. L’esplosione di violenza che si consumò negli ultimi giorni del 2023 viene ricondotta a una scelta volontaria, maturata dopo l’assunzione di un mix di droghe composto da Lsd, cocaina e marijuana, di cui il giovane conosceva perfettamente la pericolosità.
I fatti si svolsero ad Arzachena. Giovanni Fresi fu colpito ripetutamente alla testa con un bastone, in un’aggressione che si rivelò fatale. Prima dell’omicidio, Michele Fresi aveva già causato gravissime ferite a un’amica e, durante una violenta colluttazione, aveva colpito anche due militari dell’Arma intervenuti per fermarlo. Una sequenza di episodi che, secondo la Corte, dimostra la lucidità dell’azione e l’assenza di elementi idonei a ridimensionare la responsabilità penale.
Nelle motivazioni si sottolinea inoltre come l’imputato disponesse di «competenze» sufficienti a comprendere le conseguenze dell’uso sconsiderato di sostanze stupefacenti, escludendo quindi qualsiasi automatismo tra l’assunzione di droga e la perdita di controllo. Una ricostruzione che ricalca la tesi sostenuta dalla Procura di Tempio e dagli avvocati di parte civile Massimo Schirò, Giampaolo Murrighile e Jacopo Merlini.
La difesa, affidata all’avvocato Pierfranco Tirotto, ha annunciato ricorso in Appello, aprendo così una nuova fase giudiziaria in una vicenda che ha profondamente scosso la comunità di Arzachena.
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