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Baturi dall’Etiopia: «A Wolisso la profezia di un mondo nuovo» Nel suo intervento per Dianoia, l’Arcivescovo racconta il 25° anniversario dell’ospedale San Luca, sostenuto dalla CEI: un’opera di fede, comunione e carità che custodisce la vita, accompagna le madri e apre al futuro di un Paese giovane e ferito.

L’11 dicembre mi sono trovato in Etiopia, a Wolisso, a circa tre ore di macchina da Addis Abeba, dove è stato celebrato il venticinquesimo anniversario dell’ospedale cattolico San Luca, l’unico della nazione.

Si tratta dell’ospedale della Conferenza Episcopale Etiope, gestito dal CUAMM – Medici con l’Africa, associazione di volontari nata a Padova. La Conferenza Episcopale Italiana, attraverso i fondi dell’8xmille, ha contribuito in modo decisivo alla nascita dell’opera, al suo consolidamento e al suo sviluppo, accompagnandone oggi anche nuovi e importanti passi.

Accanto a un ospedale cresciuto fino a circa 200 posti letto, è stata infatti avviata una scuola statale per infermieri e ostetriche, riconosciuta dallo Stato. Il tema della maternità è decisivo in un Paese che negli ultimi anni ha registrato circa 25.000 donne morte a causa del parto. Intervenire su questo fronte significa davvero salvare vite, prendersi cura del futuro di un Paese giovanissimo: l’età media della popolazione è di 24 anni, una realtà che si percepisce immediatamente camminando per le strade, piene di bambini.

Lo sviluppo attuale del progetto guarda anche alla possibilità di accogliere studenti universitari e specializzandi in medicina, oltre a promuovere attività di ricerca significative.

Perché la Conferenza Episcopale si impegna in opere come questa? Anzitutto per una ragione di fede: Dio è amore e, quando se ne fa esperienza, nasce il desiderio di condividerlo soprattutto là dove l’uomo è nel bisogno. C’è poi una ragione di comunione: questi bambini, queste donne, questi uomini, anche se vivono in una terra lontana e spesso sconosciuta, sono nostri fratelli e sorelle.

C’è infine un’urgenza di carità. Come ha ricordato Papa Leone XIV, Cristo si fa carne a Betlemme, ma è una carne mortale: che ha fame, sete, che si ammala. Non possiamo incontrare Cristo senza andare incontro alla carne ferita dei poveri e dei malati. La cura dei più fragili è e resta centrale nella missione della Chiesa.

Esiste anche una dimensione profetica. In un tempo segnato da guerre che colpiscono soprattutto donne e bambini, spesso usando il corpo femminile come campo di battaglia, investire sulla vita, sulla maternità, sull’educazione dei giovani significa affermare la possibilità di un mondo diverso.

Questi bambini sono una profezia di futuro. Vogliamo accoglierli quando nascono e aiutarli a crescere. Un dettaglio racconta più di molte parole: l’autista che ci accompagnava si chiama Waiting, “colui che aspetta”. Suo padre partì per la guerra quando la madre era incinta e non fece ritorno. Quel nome esprime l’attesa di un bene più grande, di una felicità vera, di un mondo nuovo.

Nella prossimità del Natale, tutto ciò che abbiamo vissuto diventa attesa profonda. Che il Signore ci accompagni, che torni a unirsi a noi, e che sappiamo riconoscerlo nella carne dei nostri fratelli.

Giuseppe Baturi
Arcivescovo


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