
La Messa di chiusura del Giubileo diocesano (foto Carla Picciau)
Si è concluso il Giubileo diocesano con la celebrazione nella Basilica di N.S. di Bonaria presieduta dall’arcivescovo mons. Giuseppe Baturi, che ha sottolineato il significato profondo dell’Anno Santo vissuto dalla Chiesa locale. Al centro dell’omelia, il mistero dell’Incarnazione: «Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore». Una luce concreta, che «ha il volto di un bambino».
Ripercorrendo l’esperienza giubilare, l’arcivescovo ha evidenziato tre grandi dimensioni che hanno caratterizzato l’Anno Santo, e ha invitato a custodire e far fiorire quanto vissuto.
La prima sono stati i pellegrinaggi, che hanno coinvolto comunità, giovani, malati, detenuti e persone con disabilità: «Abbiamo imparato che la Chiesa è sempre in pellegrinaggio, conquistata dalla speranza di Cristo».
La seconda dimensione riguarda le opere di misericordia: dall’apertura della Casa Sant’Anna per donne fragili al sostegno alle madri, fino ai percorsi di reinserimento sociale e al microcredito. «La misericordia è già il modo in cui il futuro che speriamo entra nel nostro presente» ha osservato l’arcivescovo.
Infine, il perdono, vissuto in modo particolare attraverso l’indulgenza: «L’esperienza di libertà è il perdono, che riscatta il futuro dal peso del passato».
Mons. Baturi ha ricordato che «gli uomini attendono Dio» e ha sottolineato come il cuore della fede «non sia una dottrina né una morale, ma una persona: Gesù Cristo».
A conclusione della celebrazione, la croce sarda, simbolo del Giubileo realizzata dai detenuti del carcere di Uta, è stata riconsegnata dall’arcivescovo ai volontari della pastorale diocesana penitenziaria.
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