Commento al vangelo della Commemorazione di tutti i fedeli defunti (Messa I) a cura di don Giulio Madeddu “E io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Nel cuore del dolore, la promessa della vita

2 novembre 2025 – Commemorazione di tutti i fedeli defunti (Messa I)

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,37-40)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».


Una parola di speranza nel tempo del lutto

Nel giorno in cui la Chiesa commemora tutti i fedeli defunti, la liturgia ci affida parole piene di speranza. Il Vangelo scelto per il primo dei formulari della Messa odierna non parla direttamente della morte, ma della volontà salvifica del Padre e della promessa della vita eterna. È una pagina luminosa, che – nel buio del lutto – accende la luce della fede.

La colletta di questa celebrazione ci guida nella lettura del testo: «Nella tua bontà, o Padre, ascolta le preghiere che ti rivolgiamo, perché cresca la nostra fede nel Figlio tuo risorto dai morti e si rafforzi la speranza che i tuoi fedeli risorgeranno a vita nuova». È una preghiera semplice e profonda: chiede che la fede cresca, e che la speranza si rafforzi. Perché il dolore per la morte delle persone amate non ci lasci nel vuoto, ma ci apra alla certezza che in Cristo la vita non finisce.

L’attrazione di Dio è più forte del nostro smarrimento

Il Vangelo inizia con parole rassicuranti: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, io non lo caccerò fuori». C’è una dinamica profonda in queste parole: non siamo noi, nonostante il nostro cammino di ricerca, a trovare Dio, è lui che ci attira a sé. A volte pensiamo che il cammino spirituale sia uno sforzo in salita, come se la salvezza dipendesse dalla nostra fatica o dalla nostra vita vissuta nelle pratiche della fede.

Ma il Vangelo ci dice qualcosa di diverso: la nostra vita è innanzitutto il frutto di un’attrazione divina. È Dio che ci affida al Figlio, è il Padre che ci attira verso Gesù. E in Gesù nessuno è respinto, nessuno è scartato, nessuno è perduto.

«Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato». Queste parole, ascoltate in questo giorno, sono un balsamo per chi soffre. Il nostro Dio è un Dio che non vuole perdere nessuno. Il suo desiderio di tenerci con sé è più grande delle nostre fragilità, più tenace delle nostre incoerenze, più forte della stessa morte.

Vedere e credere nel Figlio

La fede non è un’idea, è uno sguardo. Gesù lo dice chiaramente: «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna». Vedere e credere: sono due verbi fondamentali della vita cristiana. La nostra esistenza è un esercizio quotidiano di riconoscimento: riconoscere Gesù nelle Scritture, nei poveri, nei sacramenti, nelle ferite del mondo, nella nostra storia. Chi impara a vedere il Figlio, impara a fidarsi. E chi si fida, entra nella vita eterna già ora, e la riceverà in pienezza nell’ultimo giorno.

La risurrezione: cuore della speranza cristiana

Il Vangelo si chiude con una frase che è una promessa, una certezza, una profezia: «E io lo risusciterò nell’ultimo giorno». È qui il cuore della celebrazione di oggi. Non celebriamo la morte, ma la vita. Non fissiamo lo sguardo sulle tombe, ma sulla promessa di Cristo. La morte non ha l’ultima parola. Il Figlio, risorto dai morti, ci garantisce che anche noi – e tutti i nostri cari – risorgeremo nell’ultimo giorno.

La morte resta un dolore, ma non è più una condanna. È un passaggio. È una soglia. È un affidarsi definitivo alle mani di Dio, che – come ci ha detto Gesù – non perderà nessuno di quelli che gli sono stati affidati.

Credere nel Risorto, vivere da risorti

In questo giorno in cui portiamo nel cuore il ricordo di tante persone amate, il Vangelo ci consola e ci provoca. Ci consola, perché ci dice che nulla è perduto. E ci provoca, perché ci chiede di vivere già da ora nella logica della risurrezione.

Credere nel Risorto significa vivere come figli amati, come fratelli riconciliati, come uomini e donne che non si lasciano vincere dalla paura, ma camminano con speranza. La morte, che pure fa parte della vita, non è più l’ultima parola. L’ultima parola è l’amore che ci ha creati, ci ha salvati, e ci aspetta.

Celebrare la vita, non evocare la morte

E mentre in tanti, nell’antivigilia di questa celebrazione, hanno celebrato gli spettri della morte, la rievocazione di spiriti e fantasmi nella sera di Halloween, noi celebriamo la vita, la risurrezione, la bellezza dell’attesa dell’incontro con Dio in paradiso.

Non temiamo la morte perché crediamo nella vita eterna. Non inseguiamo il buio perché siamo figli della luce. Il nostro sguardo non è rivolto ai sepolcri, ma al cielo. Perché Gesù ha vinto la morte, e ci ha promesso: «Chi crede in me ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Don Giulio Madeddu


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