Commento al vangelo della XIV domenica del tempo ordinario (anno C) a cura di don Giulio Madeddu “Vi mando come agnelli in mezzo a lupi”. Annuncio, preghiera e affidamento nel cuore della missione

6 luglio 2025 – XIV domenica del tempo ordinario (Anno C)

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,1-12.17-20)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».


L’urgenza della missione e il primato della relazione

Il capitolo 10 del Vangelo di Luca si apre nel contesto del grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme. È il cammino decisivo, carico di attesa e gravido di passione. Gesù non va da solo: coinvolge, forma, invia. I settantadue discepoli non sono i Dodici, ma una cerchia più ampia, segno che la missione non è riservata a pochi, ma è vocazione della Chiesa intera.

L’intero capitolo è attraversato da un dinamismo missionario: si apre con l’invio dei discepoli, si chiude con l’operosità di Marta, ma anche con il richiamo al primato dell’ascolto, rappresentato da Maria. È una pedagogia in cui l’azione trova senso solo nella relazione. Infatti, alla fine del nostro brano, Gesù non esalta né l’efficienza né il successo, ma la gioia di appartenere a Dio.

Anche nella nostra vita spirituale, l’attivismo non basta: possiamo lavorare per Gesù, perfino con Gesù, ma dimenticare di stare con Lui. La “parte migliore”, alla fine, è la comunione.

“La messe è abbondante”: ma il punto di partenza non è il reclutamento

Gesù dichiara con chiarezza che la messe è abbondante, ma gli operai sono pochi. Tuttavia, non invita subito a reclutare, ma a pregare. Il primo atto dell’azione pastorale non è l’organizzazione, ma la supplica: la missione è dono, non sforzo umano. Solo chi prega può essere mandato. Solo chi si sente mandato può portare pace.

I discepoli sono chiamati a portare la pace in ogni casa e ad annunciare che il Regno di Dio è vicino. Non c’è da discutere o imporsi, ma da offrire: offrire la parola che salva, il gesto che cura, la presenza che accompagna. Anche il gesto di scuotere la polvere non è segno di condanna, ma un’ultima, estrema testimonianza: il Regno è vicino, anche quando non viene accolto.

Il discepolo non è un padrone, ma un testimone della vicinanza di Dio, anche in contesti ostili. È mandato “come agnello in mezzo ai lupi”, cioè con mitezza, fiducia e disponibilità a rischiare mettendoci la faccia ed esponendo anche la propria vita.

Tornare, raccontare, rallegrarsi nel nome del Signore

La missione ha un ritorno. I settantadue tornano pieni di gioia, raccontando a Gesù quello che è successo. È importante questo momento di verifica e ascolto reciproco: il discepolo non è uno che agisce e va, ma “uno che torna”, si racconta, si lascia correggere. È la dimensione della revisione di vita, del rendere conto del cammino e del discernere con il Maestro.

Tuttavia, Gesù ridimensiona con dolcezza il loro entusiasmo: “Non rallegratevi perché i demòni si sottomettono a voi, ma perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Anche le esperienze positive non devono gonfiare l’ego, ma alimentare la gratitudine. La vera gioia non è il risultato, ma la relazione. La missione riesce non quando produce successo, ma quando custodisce l’intimità con Dio.

Cirillo di Alessandria, a proposito delle parole di autocompiacimento dei settantadue, dice: «Rallegrarsi solo del fatto che erano in grado di operare miracoli e di sconfiggere le mandrie dei demoni verosimilmente avrebbe potuto produrre in loro il desiderio dell’arroganza. (…) È stato utilissimo che il Salvatore di tutti respingesse il primo vantarsi e tagliasse rapidamente la radice che era spuntata in loro, il vergognoso amore della gloria». (Commento a Luca, Omelia 64)

È questa la chiave finale anche del capitolo: come per Marta e Maria, la parte migliore non è “fare qualcosa per Gesù”, ma stare con Lui, ascoltarlo, rallegrarsi perché siamo suoi.

Il discepolo è inviato come agnello, non come lupo: con mitezza, fiducia e disponibilità a servire.
Chi annuncia il Vangelo è portatore di pace, anche dove non viene accolto.
La gioia più grande non è nei risultati della missione, ma nel sapere che il nostro nome è scritto nei cieli: segno che apparteniamo a Dio, e siamo custoditi nel suo amore.

Don Giulio Madeddu


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