Commento al vangelo della XXVIII domenica del tempo ordinario (anno C) a cura di don Giulio Madeddu Dalla guarigione alla gratitudine. L’itinerario eucaristico del lebbroso samaritano

12 ottobre 2025 – XXVIII domenica del tempo ordinario (Anno C)

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17,11-19)

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».


Un confine geografico che si fa luogo di incontro

Gesù è in cammino verso Gerusalemme. Il suo itinerario, però, non è solo geografico: è teologico, umano, rivelativo. Non prende scorciatoie, ma attraversa territori ambigui, misti, “scomodi”. Chi viaggiava verso il Tempio poteva scegliere di evitare la Samaria, regione impura per i più osservanti. Gesù no: passa proprio lì. Anzi, entra in un villaggio. Lo fa volutamente, consapevolmente.

È il segno di un Messia che non teme la contaminazione, che cerca l’incontro. Gesù non costruisce muri, attraversa confini. E proprio in questo spazio incerto – geografico, culturale, religioso – accade il miracolo. È lì che dieci lebbrosi, esclusi dalla società, lo riconoscono e lo invocano da lontano: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».

Un grido da lontano, una risposta che mette in cammino

I lebbrosi si fermano a distanza, come imponeva la Legge, ma alzano la voce per farsi sentire. Non chiamano genericamente: “rabbi”, ma “Gesù”. Non lo trattano come un guaritore qualsiasi, ma come un “maestro” – e il termine usato (epistàta) è lo stesso con cui i discepoli si riferiscono a Gesù. Anche chi è lontano sa riconoscere, intuire, dare il giusto nome. È il paradosso del Vangelo: spesso chi sta ai margini possiede un linguaggio più vero della fede.

Gesù non compie gesti, non pronuncia formule: semplicemente ordina di andare dai sacerdoti, come previsto dalla Legge. Ma il significato è più profondo. In Galilea e Samaria non c’erano sacerdoti del Tempio: il comando implica quindi un cammino verso Gerusalemme. Il loro itinerario verso la guarigione è lo stesso di Gesù verso la Pasqua. È quasi una prefigurazione: la salvezza, per loro come per noi, si compirà nel mistero pasquale.

Un culto nuovo, una gratitudine eucaristica

I dieci vengono purificati “mentre sono in cammino”. Ma solo uno, vedendosi guarito, “torna indietro” e si prostra ai piedi di Gesù. È un samaritano, uno straniero. Eppure è lui a fare ciò che nessun altro ha fatto: rendere grazie. Il verbo greco usato da Luca è eucharistéō, lo stesso che la Chiesa userà per indicare il suo gesto centrale: l’Eucaristia.

Questo uomo non cerca il certificato della guarigione presso i sacerdoti del Tempio. Va direttamente da colui che è il vero Tempio, il vero Sacerdote, il luogo dove Dio si fa vicino. La guarigione lo porta non solo alla salute, ma alla fede. E la fede si esprime nel rendimento di grazie, in quell’atto che diventa già preghiera cristiana.

Gesù, con tono sorpreso e pedagogico, dice: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?». Il suo stupore è rivelazione. I nove, figli d’Israele, hanno seguito il percorso prescritto. Il samaritano, no: ha seguito il cuore, ha riconosciuto l’origine del dono, è tornato da Gesù.

Cristo, vero tempio e vero sacerdote

Il racconto opera un passaggio sottile ma decisivo. Gesù aveva detto di andare verso i sacerdoti. Ma alla fine mostra che la lode vera, il culto pieno, il ringraziamento più profondo si vivono ai suoi piedi, non tra i riti antichi. Il samaritano, lontano per provenienza, si rivela vicino nella fede. È lui l’“eucaristico”, colui che restituisce, che riconosce, che si inginocchia.

«La tua fede ti ha salvato»: è l’ultima parola di Gesù. Non “sei guarito” (lo erano tutti), ma “sei salvato”. Perché non basta ricevere: è il modo con cui si risponde che apre alla salvezza. Solo chi sa ringraziare riceve in pienezza. Solo chi riconosce il Donatore, oltre il dono, entra nel mistero di Dio.

Dalla guarigione al culto, dalla gratitudine alla fede

La parabola ci interroga con forza. Tutti i dieci hanno gridato, tutti hanno obbedito, tutti sono stati guariti. Ma solo uno ha fatto del dono un atto di fede. Solo uno ha trasformato la guarigione in incontro. Solo uno ha capito che la salvezza non è solo salute, ma relazione. E quella relazione si chiama gratitudine, si chiama Eucaristia.

Alla fine, il vero “straniero” non è il samaritano. Sono gli altri nove. Chi, pur ricevendo, non riconosce; chi, pur guarito, non torna; chi, pur beneficiato, non loda. Il confine non è tra Giudei e Samaritani, ma tra gratitudine e abitudine, tra fede e automatismo.

E allora, ancora oggi, la domanda di Gesù ci raggiunge: «Gli altri dove sono?». Dove siamo noi, quando riceviamo senza ringraziare? Quando chiediamo ma non torniamo indietro? Quando ci basta il dono, ma ci sfugge il Donatore?

Don Giulio Madeddu


Scopri di più da Kalaritana Media

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.