Commento al vangelo dell’Ascensione del Signore (anno C) a cura di don Giulio Madeddu “Mentre li benediceva, veniva portato verso il cielo”. La fede tra compimento, testimonianza e adorazione

1 giugno 2025 – Ascensione del Signore – Anno C

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,46-53)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.


Cristo risorto per la nostra speranza, asceso per la nostra protezione

La festa dell’Ascensione del Signore segna una nuova tappa nel cammino pasquale. Dopo aver celebrato la vittoria sulla morte, oggi contempliamo Cristo che sale al cielo e siede alla destra del Padre. Risurrezione e ascensione non sono momenti separati, ma un unico movimento di glorificazione che coinvolge anche noi.

Scrive Sant’Agostino: «La glorificazione del Signore nostro Gesù Cristo è divenuta completa con la risurrezione e l’ascensione al cielo. Abbiamo celebrato la sua risurrezione nella domenica di Pasqua, oggi celebriamo la sua ascensione. Ambedue sono per noi giorni di festa. Infatti Cristo risuscitò per darci la prova della nostra risurrezione, e ascese al cielo per proteggerci dall’alto. Il Signore e salvatore nostro Gesù Cristo dunque prima fu appeso alla croce, ora siede nei cieli. Pagò il nostro riscatto quando fu appeso alla croce; ora che siede nei cieli raduna intorno a sé coloro che ha comperato» (Discorso 263).

In questo passaggio riconosciamo il cuore della nostra fede: Cristo risorto è la garanzia della nostra speranza, Cristo asceso è la forza che ci sostiene. Non si è allontanato, ma ci attira a sé. Non ci lascia orfani, ma ci affida la sua missione.

Nel Vangelo dell’Ascensione secondo Luca, emergono tre espressioni che ci aiutano a cogliere il significato profondo di questa festa: «Così sta scritto», «Di questo voi siete testimoni», «Si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme».

1. «Così sta scritto» – La Pasqua è storia compiuta

Le prime parole di Gesù nel brano dell’Ascensione sono una rilettura: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno». Non è una dichiarazione astratta, ma una chiave di lettura della storia: ciò che è accaduto – la passione, la croce, la risurrezione – non è stato un imprevisto, ma il compimento di un disegno.

Gesù non inventa un messaggio nuovo, ma porta a pienezza le Scritture. L’Ascensione non segna l’abbandono, ma il completamento di un cammino: quello in cui Dio ha mantenuto la promessa fatta, ha scritto il suo amore nella carne del Figlio, ha attraversato la morte per aprirci alla vita.

In un mondo spesso privo di riferimenti, riconoscere che “sta scritto” significa ricordare che la nostra fede ha radici, storia, memoria. E che il presente, con le sue fatiche e attese, si illumina solo se letto alla luce del Vangelo.

2. «Di questo voi siete testimoni» – La missione comincia da Gerusalemme

L’Ascensione non è la fine del Vangelo, ma l’inizio della Chiesa. «Nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». Gesù non consegna un’idea da difendere, ma una storia da raccontare. Il compito dei discepoli è testimoniare ciò che hanno visto: la croce che non ha avuto l’ultima parola, la vita che ha vinto la morte, il perdono che ha raggiunto ogni distanza.

La testimonianza non è mai neutra: nasce da un incontro, passa per una trasformazione. E comincia da Gerusalemme, cioè dal luogo della difficoltà, del fallimento, della croce. Non si parte dai successi, ma dalle ferite redente. Anche noi, oggi, siamo chiamati a testimoniare la Pasqua nei luoghi della nostra Gerusalemme: nelle relazioni quotidiane, nel lavoro, nelle comunità segnate da crisi e fragilità. Non portiamo teorie, ma la vita nuova che nasce dal perdono e dalla speranza.

3. «Si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme» – Dall’adorazione alla missione

L’Ascensione si conclude con due gesti: l’adorazione e il ritorno. I discepoli si prostrano davanti a Gesù, poi tornano a Gerusalemme con grande gioia. Non restano a guardare il cielo, come spesso siamo tentati di fare quando il mistero ci sfugge. Non si chiudono nel ricordo malinconico. Adorano e tornano, lodano e camminano.

Questo è il segno di una fede matura: adorare il Risorto che sale al Padre, e allo stesso tempo restare fedeli alla terra, alla missione ricevuta. La gioia della Pasqua non è evasione, ma radicamento: non fuggire dal mondo, ma starci dentro con uno sguardo trasfigurato.

La liturgia dell’Ascensione non chiude un tempo: apre un’attesa, prepara alla Pentecoste. Prepara un popolo che adora, annuncia, attende. E che, nel tempo, si lascia condurre dallo Spirito per diventare segno credibile della presenza di Dio.

Sta scritto: la storia ha un senso.
Siete testimoni: la fede è vita condivisa.
Si prostrarono e tornarono: la gioia si fa missione.
L’Ascensione è il cielo che si apre, ma anche la terra che resta da amare e servire.

Don Giulio Madeddu


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