
Don Alberto Pistolesi
Conobbi don Alberto Pistolesi quando avevo diciott’anni. Era il mio animatore in seminario minore e, fin dal primo incontro, mi colpì la sua simpatia travolgente. Ma non era la simpatia facile di chi si limita a essere spiritoso: in lui c’era qualcosa di più profondo, un modo di vivere la relazione che metteva a proprio agio e lasciava intravedere un cuore grande, abitato da una fede viva.
Aveva uno sguardo diretto, luminoso, che sembrava leggerti dentro senza giudicare. Con poche parole — spesso con una battuta — riusciva a farti ridere e, nello stesso tempo, a farti riflettere. Con lui la realtà appariva più aperta, meno pesante. Ti aiutava a vedere il buono anche dove sembrava nascosto, a cercare uno spiraglio di luce persino nelle giornate storte.
Ricordo i tanti momenti trascorsi insieme: le serate in seminario, talvolta in parrocchia; le chiacchiere interminabili dopo le attività. A poco a poco, senza che te ne accorgessi, ti trovavi a raccontargli di te.
Don Alberto sapeva ascoltare — non per dovere, ma con una partecipazione sincera. Accoglieva i tuoi dubbi, i sogni, le pene, i desideri. Ti restituiva le parole in modo nuovo, con quella leggerezza profonda che nasce solo da chi ha attraversato la vita senza mai perdere la fiducia.
Dentro la sua positività non c’era superficialità, ma una forza vera: un pathos che si percepiva anche nei silenzi. Non ti diceva semplicemente «andrà tutto bene», ma ti faceva sentire che non eri solo, che qualcuno stava camminando accanto a te. E in quel suo modo di esserci — discreto, sorridente, presente — c’era già un annuncio di Vangelo.
Col tempo ho capito che la sua simpatia andava letta nella radice più autentica del termine: sym-pathos, condividere il sentire, partecipare alle emozioni dell’altro. Alberto non si limitava a fare compagnia, ma portava nel cuore la vita di chi incontrava.
Sapeva ridere con te e, allo stesso modo, commuoversi con te. La sua umanità era così piena che non aveva bisogno di grandi gesti per farsi capire: bastava la sua presenza. Anche quando il tempo lo portò in altri incarichi, trovava sempre il modo di mandare un messaggio, una parola, un pensiero che arrivava al momento giusto.
Aveva una memoria viva delle persone: ricordava volti, storie, episodi minimi, e sapeva far sentire ognuno importante. Dietro quella sua ironia leggera si intuiva un cuore capace di portare pesi grandi, e di trasformarli in preghiera. Lo si vedeva nella celebrazione della Messa, nel modo in cui parlava di Dio — mai retorico, mai distante — ma con quella freschezza che nasce solo da un rapporto quotidiano e sincero.
Molto di ciò che oggi credo sull’amicizia, sulla fede e persino sulla speranza, l’ho imparato da lui. Don Alberto testimoniava una vita abitata da Dio e, per questo, capace di comunicare gioia. Mostrava che credere non significa chiudere gli occhi davanti alla realtà, ma guardarne le ombre con fiducia, sapendo che una luce le attraversa sempre. Oggi, quando incontro qualcuno che ascolta davvero, che sorride con empatia, che sa vedere il bene prima di tutto il resto, mi torna in mente lui: don Alberto, un uomo e sacerdote «sim-patico», nel senso più profondo del termine. Uno che sapeva condividere il pathos dell’altro e, proprio così, annunciava la bellezza di Dio che si fa vicino.
Gli sarò sempre riconoscente. E credo che tanti, come me, portino nel cuore un frammento della sua umanità luminosa: quella che resta anche quando le parole tacciono, perché ha saputo lasciare un’impronta di bene, discreta e tenace, come il sorriso di chi continua a credere che nella vita del prossimo c’è il grande desiderio di felicità di Dio.
Mariano Matzeu
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