il ricordo

Don Andrea, l’amico del Vescovo: il ricordo affettuoso e grato di monsignor Mani Prete operaio, uomo di cultura e preghiera: il ritratto di don Portas nelle parole dell’arcivescovo emerito di Cagliari

 

Don Andrea, l’amico del Vescovo

Il parlare devoto vuole che il vescovo sia per i preti “Padre, fratello e amico”. Padre e fratello è semplice, ma amico è più complicato. “Quello è amico del vescovo”, “il vescovo ha i suoi amichetti”, non sono frasi che esprimono il meglio dei rapporti di un vescovo col suo clero. Di un prete posso dire che era davvero mio amico, anche se lui rispettava le distanze perché ero sempre il suo vescovo: don Andrea Portas, che ieri (28-07-25) è tornato alla casa del Padre.

La prima volta l’ho visto ad un incontro di vicariato, e mi aveva colpito il suo parlare fiorito, anzi “fioritissimo”, ma che esprimeva concetti tutt’altro che banali e stupidi. Devo confessare che, essendo piuttosto abituato a quel linguaggio, anche se non è il mio, tra le periferie di Roma e l’ambiente militare (senza dimenticare la mia regione in cui l’immediatezza della lingua è uno specifico), mi restò subito simpatico, e credo che la cosa fosse vicendevole. Cominciò un bel rapporto, e incontrandolo in Parrocchia, cominciò una amicizia che divenne sempre più profonda e perfino spirituale.

Seppi da altri la sua interessante storia, che Lui mi confermò con un certo pudore perché era schivo a parlare di sé, aveva del selvaggio.

Ragazzo era entrato al seminario minore a Dolianova, e poi a Cuglieri per la teologia. Cominciò il suo ministero come Viceparroco a Sant’Elia di Cagliari, dove rimase soltanto quattro anni, quando chiese di fare il prete operaio, lavorando al Porto e nelle varie industrie, per concludere alla Telecom, fino alla pensione, quando chiese al Vescovo di diventare parroco di una piccola e povera parrocchia. Fu mandato ad Armungia, una parrocchia del Gerrei di 500 persone, a due ore da Cagliari.

Durante il lavoro come operaio, coltivò i suoi studi, si laureò in filosofia e coltivò la letteratura scrivendo poesie e ricevendo diversi premi a livello nazionale.

Era costituzionalmente un contemplativo, uomo di studio, di riflessione e di molta preghiera. Su quest’ultima ci confrontavamo, e mi partecipava il suo rapporto col Signore.

Si alzava nel cuore della notte e pregava per due ore. Erano ore di lotta, perché il nemico non gradiva che un parroco trascorresse la notte in adorazione. Il demonio lo molestava e lo disturbava in mille modi, tanto che lo autorizzai a fare l’esorcismo. Le sue ore dinanzi al S.S. Sacramento e alla bellissima immagine dell’Immacolata, tutta avvolta in un manto di oro, erano una lotta continua, da uscirne sfinito.

Ero informato di tutto: sapere che il parroco di una piccola parrocchia, nella solitudine del Gerrei, stava lottando col demonio, nella notte, per raggiungere la comunione col Signore, mi faceva sentire al sicuro, anche perché don Andrea mi assicurava che quando il demonio era infuriato, si stavano preparando grazie per la nostra chiesa.

La sua canonica era una spettacolo: umilissima, consistente in un’unica stanza, soprattutto per riscaldarla d’inverno (ad Armungia il freddo non scherza), essenziale, ordinata e pulitissima. Mi ricordava quella di Charles de Foucauld, ma soprattutto con la porta sempre aperta.

Il parroco di Villasalto mi ha raccontato che, trovandosi una sera con altri preti a cena da lui, cominciò a nevicare. Don Andrea partì per tornare ad Armungia, ma dovette tornare indietro per la troppa neve, e pernottare a Villasalto: aveva l’unica preoccupazione del breviario. Ovviamente il parroco provvide.

Pensavo che per fare il prete operaio e trascorrere anni in fabbrica, solo un mistico come lui poteva farlo.

Quando era ad Armungia trovavo il modo di poterlo incontrare almeno una volta al mese. Erano incontri meravigliosi: mi parlava della sua esperienza col Signore, delle notti trascorse con Lui, al buio della sua chiesetta ma, davanti al Tabernacolo in compagnia della Madonna e degli angeli. Parlavamo anche di cultura teologica, degli ultimi articoli delle riviste che avevamo letto, e dei libri.

Venne l’ora di lasciarci per la conclusione del mio ministero a Cagliari, ma continuammo il rapporto telefonico e l’invio degli ultimi libri di teologia che poi commentavamo insieme. Il Signore volle tutto da lui, alla fine anche la sua mente. Quando mi davano notizie della sua condizione mentale non riuscivo ad immaginarmelo se non immerso in Dio: Dio solo.

+Giuseppe Mani

 


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