Esteri

Gaza, padre Romanelli: “Intorno abbiamo solo desolazione” Le parole, in un'intervista al Sir, del parroco della parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza City

La distruzione di Gaza | Foto Unicef

Continua a peggiorare giorno dopo giorno la situazione a Gaza. Da oltre due mesi nessun aiuto entra all’interno della Striscia, mentre il governo israeliano ha annunciato la volontà di estendere il controllo su gran parte del territorio occupandolo militarmente. Cambiando nettamente rotta rispetto anche alla volontà, almeno iniziale, di trovare un accordo per il rilascio degli ostaggi ancora trattenuti da Hamas.

Le parole

Anche la fame, oltre le bombe, comincia così a mietere le sue vittime. Il quadro per la popolazione gazawi è sempre più buio, nonostante le pressioni delle Nazioni Unite su Israele per un cessate il fuoco che consenta il passaggio degli aiuti, aspetto che Tel Aviv vorrebbe affidare a compagnie private. Il momento vissuto è stato raccontato in un’intervista al Sir da Padre Gabriel Romanelli, parroco della parrocchia latina della Sacra famiglia di Gaza City. «La situazione continua a essere molto grave – ha spiegato – Ci sono bombardamenti tutto il giorno e anche nella zona della parrocchia, qui a Gaza City. Delle schegge di bombe sono cadute all’interno di alcune nostre strutture ma grazie a Dio non ci sono stati feriti. Da oltre due mesi – dice il parroco, missionario di origini argentine – non arrivano aiuti umanitari all’interno della Striscia di Gaza e la popolazione è allo stremo. Mancano, cibo, acqua, medicine. In giro si vedono lunghe file di gente in attesa di prendere qualche litro di acqua potabile e qualche razione di cibo».

L’impegno è continuo, con oltre 500 rifugiati nelle strutture della parrocchia. Fuori però la speranza è ridotta a lumicino. «Come parrocchia cerchiamo di fare il possibile per sostenere, sin dallo scoppio della guerra, migliaia di famiglie che vivono in quel che resta del nostro quartiere. Tutto intorno la desolazione – ha aggiunto il parroco – nulla fa pensare ad un cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi. Niente induce la popolazione locale a sperare di poter restare nella propria terra e a ricostruire la propria vita. Con la piccola comunità cristiana rifugiata cerchiamo di alimentare la speranza attraverso la condivisione materiale e spirituale. Preghiamo ogni giorno, lavoriamo con i gruppi dei giovani, delle famiglie, facciamo formazione cristiana, leggiamo la Bibbia, prendiamo esempio dalla vita dei santi, animiamo l’oratorio dei più piccoli, ma sempre all’interno della parrocchia per motivi di sicurezza».


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