Immigrazione, uno sguardo tra accoglienza e verità Dal convegno del MEIC e Caritas a Cagliari un invito a superare paure e stereotipi, per leggere il fenomeno migratorio con realismo, umanità e responsabilità

Superare le paure, uscire dalla gabbia degli stereotipi e guardare all’immigrazione con occhi nuovi. È questo il messaggio che ha animato il convegno “L’accoglienza comincia dallo sguardo – L’immigrazione oltre le polemiche”, svoltosi questo pomeriggio all’Asilo della Marina, nel cuore di Cagliari.

Promosso dal MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) di Cagliari, in collaborazione con la Caritas diocesana, l’incontro ha offerto una riflessione documentata e profonda su uno dei temi più divisivi dell’attualità.

La Chiesa in prima linea nel promuovere la “cultura del noi”

Ad aprire i lavori è stato don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana, con un intervento dedicato a “Cagliari città aperta”, in cui ha tracciato l’identikit di una città che, nonostante le difficoltà, continua a essere luogo di incontro e accoglienza. Qui – per il direttore Caritas – si inserisce l’impegno della Chiesa nel promuovere una cultura del “noi”, con il coinvolgimento dell’intera cittadinanza e delle istituzioni  e nel vedere la mobilità umana come una risorsa per l’intera comunità.

Ambrosini: «La realtà smentisce la retorica dell’invasione»

Al centro del convegno, l’intervento del prof. Maurizio Ambrosini, sociologo dell’Università di Milano e vicepresidente nazionale del MEIC, da anni tra le voci più autorevoli nel panorama italiano sul tema delle migrazioni. «L’immigrazione in Italia cresce lentamente – ha spiegato – ma viene percepita come un’emergenza continua. In dieci anni la popolazione straniera è aumentata solo del 13%, meno dell’1,5% all’anno. Ma la narrazione pubblica racconta altro, e alimenta paure che non trovano fondamento nei dati». Ambrosini ha smontato anche l’equazione tra immigrazione e asilo: «Solo il 10% degli immigrati in Italia è composto da rifugiati o richiedenti asilo. La maggioranza sono donne, europei, provenienti da Paesi cristiani. Ma vengono percepiti come ‘altri’ solo quando appaiono poveri o fragili».

Per il sociologo, cambiare sguardo non è solo una questione morale, ma una scelta politica e culturale: «Se li vediamo come minaccia, alzeremo muri. Se li consideriamo risorsa, possiamo costruire insieme una società più giusta e coesa».

Immigrazione e futuro: sfida demografica e dignità del lavoro

Ambrosini ha poi allargato lo sguardo alle sfide del futuro: «In un Paese che invecchia, l’immigrazione potrebbe essere una risposta alla crisi demografica. Ma non basta portare persone nelle aree interne: servono lavoro, servizi, prospettive. Senza dignità, anche gli immigrati se ne andranno, come tanti giovani italiani». Altro nodo cruciale è il lavoro: «Molte donne straniere in Italia fanno le badanti, ma nei loro Paesi erano insegnanti, professioniste. Dobbiamo valorizzare le loro competenze, non solo riempire i vuoti del nostro welfare».

Sardegna: un’immigrazione silenziosa ma presente

A portare la riflessione sul piano locale è stato Mario Girau, presidente del MEIC Cagliari, che ha illustrato i dati aggiornati sull’immigrazione nell’Isola. «Oggi in Sardegna vivono circa 52.000 immigrati – ha ricordato – con un incremento minimo rispetto al 2023: poco più di 1.500 persone in più. Non si tratta certo di numeri da allarme sociale». La popolazione immigrata in Sardegna è in gran parte adulta e attiva: la fascia più rappresentata è quella tra i 35 e i 49 anni, con una significativa presenza femminile (oltre il 40%). «Sono persone che arrivano per lavorare – ha sottolineato Girau – e che spesso svolgono mansioni essenziali per il nostro sistema economico e sociale».

Volti e storie: le testimonianze che danno senso ai numeri

Uno dei momenti più intensi del pomeriggio è stato dedicato alle testimonianze dirette, che hanno dato voce alle esperienze concrete dietro ai numeri e alle statistiche. Alcune storie – provenienti dai progetti Caritas e da quello Elen Joy delle Figlie della Carità – hanno raccontato percorsi di speranza, sfide quotidiane e il desiderio di riscatto.

Una fede che guarda all’umano

Il convegno si è chiuso con un appello a recuperare uno sguardo ispirato alla fede vissuta nella concretezza, cifra distintiva dell’impegno del MEIC. «La fede – ha detto Girau in chiusura – non può restare astratta. Deve tradursi in responsabilità, vicinanza, ascolto. Questo incontro è un piccolo passo per guardare all’altro non con diffidenza, ma con verità e compassione».

 


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