Michele, il marinaio impegnato nel salvataggio dei migranti L'esperienza di un sardo su una nave di una Ong spagnola

micheleMichele Angioni, ha frequentato il nautico a Cagliari, l’accademia navale a Genova e ha dedicato la vita professionale al mondo del mare, nella Marina mercantile e a bordo di imbarcazioni private e turistiche.

Da due anni opera nel salvataggio di migranti in difficoltà con la Ong «Open Arms».

«A seguito – racconta all’Ufficio diocesano Migrantes – del grande successo del documentario realizzato dalla Ong e, grazie alle donazioni ricevute, l’Organizzazione riuscì a noleggiare una imbarcazione per un periodo di sei mesi e, a dicembre del 2016, fui contattato dall’Ong che ricercava volontari. Fu in quel momento che conobbi una realtà legata al mare a me completamente sconosciuta e ciò riaccese in me la voglia di navigare, stare in acqua e di vivere pienamente la professione marittima».

«Pur essendomi candidato come volontario – prosegue nel racconto – la sorte aveva per me altri piani: un membro dell’equipaggio per motivi di salute fu costretto ad abbandonare l’imbarcazione e lo staff si trovò in carenza di personale. Mi trovavo lì in veste di volontario ma per i miei titoli professionali fui inserito nel gruppo di lavoro e a bordo dell’imbarcazione per circa un mese. L’organizzazione, infatti, prevede delle figure professionali e un gruppo di volontari. Terminata la missione, feci ritorno nuovamente per una seconda missione dopo poche settimane. Tra fine febbraio e inizio marzo l’Ong fu accusata di essere un “taxi per i migranti”, in collusione con i trafficanti».

«Nell’arco dell’anno – afferma ancora Michele – ho partecipato all’incirca a venti missioni in veste di primo ufficiale e sono stato comandante del veliero Astral. Oggi utilizziamo un’altra imbarcazione che ci è stata donata, un rimorchiatore. In inverno si lavora in maniera diversa rispetto all’estate: nei mesi caldi è possibile che vi siano salvataggi tutti i giorni, mentre in inverno ciò accade una volta alla settimana. Nei mesi invernali ci limitiamo a sostare, controllare e pattugliare la zona».

Quello che viene portato avanti è un lavoro di vedetta: si raggiunge Malta e da lì si copre una zona al nord della Libia senza andare oltre le 24 miglia, a causa degli spari degli ultimi tempi da parte della guardia costiera libica, salvo non ci sia una chiamata di soccorso.

«Si tratta – conclude Angioni – di una zona vastissima e servirebbero moltissime barche per pattugliare tutta la zona. Spesso sento un profondo senso di rabbia. La prima missione disvela una realtà di morte e di pericolo. È allora importante trasformare la rabbia in qualcosa di propositivo, passare dalla frustrazione all’energia reattiva e positiva in grado di portare al successo».

Le cronache di questi giorni hanno riproposto in maniera drammatica questo tipo di esperienza.

Fabio Cruccu


Scopri di più da Kalaritana Media

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.