
Don Giuseppe Spiga firma il giuramento il giorno prima della sua ordinazione episcopale – Grajaù 17 maggio 2025
Un grazie che nasce dal cuore
«La prima parola che mi viene in mente è: grazie. E poi vi chiedo: non lasciatemi solo. Accompagnatemi con la preghiera.»
Con queste parole semplici e profonde, don Giuseppe Spiga si rivolge alla diocesi di Cagliari, sua terra d’origine, a poche ore dalla sua ordinazione episcopale. È un messaggio intimo, pieno di affetto e verità, che rivela un cuore sacerdotale profondamente legato alla comunità che lo ha generato alla fede e alla vocazione. Il ringraziamento e la richiesta di preghiera non sono solo parole di rito: sono la testimonianza sincera di un uomo che, pur pronto a farsi pastore per un nuovo popolo, resta profondamente figlio di una Chiesa che continua ad abitare il suo cuore.
Le radici di una vocazione silenziosa
Don Giuseppe racconta la nascita della sua vocazione con parole che parlano di discrezione e mistero: «Non c’è stato nessuno in particolare a suscitare il desiderio di diventare prete, è nato dentro di me». Una vocazione, dunque, che germoglia nel silenzio della parrocchia di Sant’Ignazio da Laconi, tra la preghiera quotidiana e l’ordinario vissuto della comunità cristiana. A 14 anni l’ingresso in seminario, accompagnato dalla figura paterna del parroco don Bruno Pitau, segna l’inizio di un cammino che dura da tutta una vita.
In questo percorso, la famiglia ha rappresentato un punto fermo: «Mi ha sempre appoggiato», confida. Anche nei momenti più delicati del cammino vocazionale, la vicinanza affettuosa e rispettosa dei suoi cari ha contribuito a mantenere viva la fiducia nella chiamata ricevuta.
Un ministero dalle tante sfaccettature
Il ministero di don Giuseppe si è articolato in diversi ambiti della vita diocesana: dalla formazione nei seminari minori e maggiori, alla pastorale nelle parrocchie di San Giorgio a Donori e Santa Lucia a Barrali, fino all’impegno sociale come direttore della Pastorale sociale e del lavoro. Ogni esperienza, ogni tappa, ha contribuito a formare un sacerdote dal cuore aperto, attento ai bisogni delle persone e capace di ascolto autentico.
Ma forse la svolta più profonda arriva con la partenza per il Brasile, nella diocesi di Viana, nel 2008. Lì don Giuseppe si reca come fidei donum, rispondendo a una chiamata missionaria coltivata da tempo: «Era un desiderio forte», racconta con convinzione. L’impatto con la nuova realtà non è semplice: una cultura diversa, una lingua nuova, un altro modo di vivere la fede. Eppure, proprio in quel contesto così distante, don Giuseppe trova alcune delle esperienze più forti del suo ministero.
In Brasile, una fede viva e povera
Due sono i luoghi che don Giuseppe ricorda con particolare emozione. Il primo è la comunità di Mattina, dove ha sperimentato la gioia e la semplicità di una fede vissuta con autenticità, pur tra tante povertà. Il secondo è il seminario diocesano, dove ha contribuito alla formazione dei futuri sacerdoti, mettendo a frutto la sua lunga esperienza e il suo sguardo pastorale.
La Chiesa brasiliana gli appare come una realtà viva, in cui il laicato ha un ruolo da protagonista, spesso sostituendosi alla presenza del sacerdote: «Ci sono comunità che vedono il prete due, tre volte l’anno. I laici sono fondamentali». Una consapevolezza che diventerà una delle chiavi del suo episcopato: il vescovo come pastore che forma e affida, che accompagna e delega, che cammina con il popolo di Dio valorizzandone ogni carisma.
Le sfide dell’episcopato e la fiducia nel popolo
Il giorno della sua ordinazione non è solo un traguardo, ma l’inizio di un nuovo servizio carico di responsabilità. «Mi sento piccolo davanti a questa chiamata», ammette. La diocesi che lo attende è estesa e complessa: vasto territorio, poche vocazioni, gravi problemi sociali e ambientali, difficoltà delle popolazioni indigene. Don Giuseppe è consapevole delle sfide, ma non si lascia intimidire. Al contrario, le affronta con la forza della fede e con uno stile pastorale sobrio e vicino alla gente.
«Non sarò un vescovo da scrivania», afferma con determinazione. Il suo desiderio è essere un pastore tra la gente, presente, vicino, capace di ascolto. E per questo si affida ancora una volta ai laici, che considera «le braccia, i piedi, la preghiera del vescovo».
Un nuovo Papa, una nuova sintonia
La data della sua ordinazione coincide con l’inizio del pontificato di papa Leone XIV, già cardinale Prevost, che da prefetto del Dicastero per i Vescovi ha accompagnato la sua nomina. «Mi sento in molta sintonia con lui», dice don Giuseppe, esprimendo il desiderio che anche il nuovo pontificato sia orientato a una Chiesa missionaria, povera, attenta agli ultimi, capace di ascolto reale e di cammini condivisi.
Un legame che non si spezza
Il distacco fisico dalla sua diocesi di origine non è un addio. Lo ribadisce lui stesso: «Rimarrò sempre un prete della Chiesa di Cagliari». E proprio per questo, nel giorno più importante della sua vita sacerdotale, si rivolge con affetto alla sua comunità: «Continuate a camminare con me, anche da lontano. La preghiera ci unisce e ci sostiene».
È il saluto di un figlio che parte, ma con lo sguardo rivolto alla casa da cui tutto è cominciato. È il saluto di un sacerdote che diventa vescovo, ma con il cuore sempre radicato nella comunità che lo ha generato alla fede. Ed è il saluto di un pastore che ha solo una richiesta da fare: “Non lasciatemi solo”.
Giulio Madeddu
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