
Sabato 29 novembre alle 10, nella Cattedrale di Cagliari, l’arcivescovo Giuseppe Baturi presiederà il rito di ordinazione sacerdotale di tre nuovi presbiteri: don Davide Ambu, don Samuele Mulliri e don Lorenzo Vacca. Abbiamo incontrato quest’ultimo per ripercorrere le tappe della sua vocazione e della formazione che lo ha condotto al sacerdozio.
Don Lorenzo, arriva il momento tanto atteso, quello dell’ordinazione sacerdotale. Come nasce la tua vocazione?
La vocazione, come ogni vocazione, nasce sostanzialmente da un incontro: un incontro in modo particolare con il Signore, che si rivela presente in una comunità, in una famiglia, attraverso dei sacerdoti. Ed è così che è nata la mia vocazione, nella comunità cristiana di Sanluri. Ricordo in modo particolare la Veglia pasquale del 2012: in quella celebrazione il Signore mi ha chiamato in una maniera speciale. In quel momento non capivo bene cosa stesse accadendo: sentivo dentro di me una chiamata, ma non comprendevo ancora a cosa. Mi sono lasciato accompagnare dai sacerdoti della parrocchia in quegli anni, e pian piano quella chiamata è maturata fino alla decisione di entrare in Seminario, per capire se davvero volevo donare la mia vita al Signore e alle persone attraverso il sacerdozio.
Come si è sviluppato il percorso formativo che ti ha portato fino a oggi?
Sono entrato in Seminario minore nel 2015, dove ho vissuto la bellissima esperienza della vita comunitaria e fraterna: una sorta di seconda famiglia, insieme a tanti compagni e ragazzi della mia età. Avevo sedici anni. Da lì è maturata la scelta di proseguire il cammino negli studi di teologia, frequentando la Facoltà teologica e il Seminario regionale. È stato un percorso di formazione, di conoscenza di sé e soprattutto di conoscenza del Signore.
Quando hai comunicato la tua decisione di entrare in Seminario, quali sono state le reazioni della tua famiglia e dei tuoi amici?
Ricordo che rivelai questo mio desiderio durante un pranzo di domenica. I miei genitori, in realtà, se lo aspettavano: fin da bambino ero molto legato alla fede e alla preghiera. Questo lo devo in modo particolare a mia nonna, che mi ha insegnato a pregare con la Scrittura e con il rosario. È stato un momento di grande gioia per tutta la famiglia. Voglio ricordare un episodio: mio nonno, che era sempre stato ateo, nel momento in cui ho comunicato la mia scelta di entrare in Seminario ha ripreso un suo cammino di fede, si è riavvicinato alla Chiesa. Eppure io non ho fatto nulla: questo mi ha fatto riflettere su come il Signore, a volte, operi per vie che non conosciamo, cercando di raggiungere le persone anche attraverso strade inaspettate. Mi piace sempre raccontare questo aneddoto, perché mostra come la grazia del Signore agisca anche nelle situazioni più semplici.
E per quanto riguarda gli amici, come hanno accolto la tua scelta?
Mi hanno sempre accompagnato e sostenuto, anche nei momenti di difficoltà. È qualcosa che porto nel cuore: durante questi dieci anni di Seminario, ogni volta che ho attraversato un momento di prova, loro ci sono sempre stati. Alcuni di loro mi hanno anche confidato di non credere, eppure non mi hanno mai fatto mancare la vicinanza e l’affetto. È un segno concreto di amicizia autentica, che non si basa solo sulle convinzioni ma sulla stima e sul volersi bene.
Il 29 novembre si avvicina: si chiude un lungo cammino e se ne apre un altro. Che cosa ti aspetti da questo momento?
Non lo so, mi permetto di dire che in questo momento non so neanche io che cosa sto vivendo. C’è un po’ di timore, perché è qualcosa di molto grande. Con il tempo ho imparato a capire che non è un traguardo: forse anni fa lo vedevo così, ma oggi riconosco che è un dono che ricevo e che sono chiamato a custodire, per me e per gli altri. È un dono che accolgo perché gli altri possano ricevere il Signore, la Sua parola, l’Eucaristia. Cosa mi aspetto? O meglio, cosa chiedo? Chiedo al Signore di insegnarmi l’umiltà e la disponibilità per Lui, per la Chiesa e per le persone. Di essere sempre attento alla Sua presenza che si rivela nell’oggi, di avere un cuore capace di riconoscerla e di accoglierla.
Sabato 29 novembre sarà un dono per tutta la Chiesa diocesana, chiamata a pregare e a gioire per i suoi nuovi sacerdoti.
che si rivela presente in una comunità, in una famiglia, attraverso dei sacerdoti. Ed è così che è nata la mia vocazione, nella comunità cristiana di Sanluri. Ricordo in modo particolare la Veglia pasquale del 2012: in quella celebrazione il Signore mi ha chiamato in una maniera speciale. In quel momento non capivo bene cosa stesse accadendo: sentivo dentro di me una chiamata, ma non comprendevo ancora a cosa. Mi sono lasciato accompagnare dai sacerdoti della parrocchia in quegli anni, e pian piano quella chiamata è maturata fino alla decisione di entrare in Seminario, per capire se davvero volevo donare la mia vita al Signore e alle persone attraverso il sacerdozio.
Come si è sviluppato il percorso formativo che ti ha portato fino a oggi?
Sono entrato in Seminario minore nel 2015, dove ho vissuto la bellissima esperienza della vita comunitaria e fraterna: una sorta di seconda famiglia, insieme a tanti compagni e ragazzi della mia età. Avevo sedici anni. Da lì è maturata la scelta di proseguire il cammino negli studi di teologia, frequentando la Facoltà teologica e il Seminario regionale. È stato un percorso di formazione, di conoscenza di sé e soprattutto di conoscenza del Signore.
Quando hai comunicato la tua decisione di entrare in Seminario, quali sono state le reazioni della tua famiglia e dei tuoi amici?
Ricordo che rivelai questo mio desiderio durante un pranzo di domenica. I miei genitori, in realtà, se lo aspettavano: fin da bambino ero molto legato alla fede e alla preghiera. Questo lo devo in modo particolare a mia nonna, che mi ha insegnato a pregare con la Scrittura e con il rosario. È stato un momento di grande gioia per tutta la famiglia. Voglio ricordare un episodio: mio nonno, che era sempre stato ateo, nel momento in cui ho comunicato la mia scelta di entrare in Seminario ha ripreso un suo cammino di fede, si è riavvicinato alla Chiesa. Eppure io non ho fatto nulla: questo mi ha fatto riflettere su come il Signore, a volte, operi per vie che non conosciamo, cercando di raggiungere le persone anche attraverso strade inaspettate. Mi piace sempre raccontare questo aneddoto, perché mostra come la grazia del Signore agisca anche nelle situazioni più semplici.
E per quanto riguarda gli amici, come hanno accolto la tua scelta?
Mi hanno sempre accompagnato e sostenuto, anche nei momenti di difficoltà. È qualcosa che porto nel cuore: durante questi dieci anni di Seminario, ogni volta che ho attraversato un momento di prova, loro ci sono sempre stati. Alcuni di loro mi hanno anche confidato di non credere, eppure non mi hanno mai fatto mancare la vicinanza e l’affetto. È un segno concreto di amicizia autentica, che non si basa solo sulle convinzioni ma sulla stima e sul volersi bene.
Il 29 novembre si avvicina: si chiude un lungo cammino e se ne apre un altro. Che cosa ti aspetti da questo momento?
Non lo so, mi permetto di dire che in questo momento non so neanche io che cosa sto vivendo. C’è un po’ di timore, perché è qualcosa di molto grande. Con il tempo ho imparato a capire che non è un traguardo: forse anni fa lo vedevo così, ma oggi riconosco che è un dono che ricevo e che sono chiamato a custodire, per me e per gli altri. È un dono che accolgo perché gli altri possano ricevere il Signore, la Sua parola, l’Eucaristia. Cosa mi aspetto? O meglio, cosa chiedo? Chiedo al Signore di insegnarmi l’umiltà e la disponibilità per Lui, per la Chiesa e per le persone. Di essere sempre attento alla Sua presenza che si rivela nell’oggi, di avere un cuore capace di riconoscerla e di accoglierla.
Sabato 29 novembre sarà un dono per tutta la Chiesa diocesana, chiamata a pregare e a gioire per i suoi nuovi sacerdoti.
Maria Luisa Secchi
Articolo pubblicato su «Kalaritana Avvenire» domenica 16 novembre 2025
Scopri di più da Kalaritana Media
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
