
I carabinieri e gli specialisti del Ris hanno passato al setaccio l’abitazione e i terreni di Emanuele Ragnedda, il quarantunenne che ha confessato l’omicidio della 33enne di Castelsardo, avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 settembre nella sua tenuta nelle campagne tra Arzachena e Palau. Ma del cellulare della vittima non c’è traccia.
Il dispositivo risulta spento dalla notte del delitto. Non è certo che possa fornire prove decisive, ma la sua assenza rappresenta comunque un tassello mancante in un quadro che agli inquirenti appare sempre più definito.
Ragnedda ha già ammesso di aver sparato con la sua pistola – detenuta con regolare porto d’armi ottenuto per motivi di sicurezza – al culmine di una lite, mentre era sotto l’effetto di cocaina e alcol. Ha dichiarato di essersi sentito minacciato da Cinzia Pinna, che si sarebbe avvicinata tenendo un oggetto in mano. Una versione che lascia ancora molte zone d’ombra sugli istanti immediatamente precedenti allo sparo.
Questo pomeriggio, alle 17, la gip del Tribunale di Tempio, Marcella Pinna, lo interrogherà nel carcere della città per l’udienza di convalida. Non è escluso che l’indagato, assistito dall’avvocato Luca Montella, scelga di avvalersi della facoltà di non rispondere, in attesa di conoscere nel dettaglio il quadro indiziario a suo carico.
Un quadro che va dal delitto all’occultamento del cadavere, passando per la partecipazione a feste come se nulla fosse e per i tentativi di cancellare le prove della sua responsabilità.
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