Sull'Ortobene

Ortobene, cuore di Nuoro: fede, silenzio e memoria ai piedi del Redentore e della tomba di Deledda Dalla statua del Redentore alla Chiesa della Solitudine, un viaggio spirituale e culturale nel monte amato dai nuoresi

La statua del Redentore sul Monte Ortobene a Nuoro

A pochi chilometri dal centro abitato di Nuoro, il Monte Ortobene si erge come una sentinella austera e silenziosa. Per i nuoresi è molto più di un semplice rilievo montuoso: è una presenza viva, custode d’identità e rifugio spirituale. “È il nostro cuore, è l’anima nostra”, scriveva Grazia Deledda in una lettera del 1905. “Tutto ciò che vi è di grande e di piccolo, di dolce e duro, aspro e doloroso in noi”. In queste parole si condensa il legame profondo tra la città e “su Monte”, come ancora oggi viene chiamato.

Il percorso verso la vetta attraversa una fitta vegetazione. Ad ogni tornante, il paesaggio si apre in scorci improvvisi sulla Barbagia e sui centri vicini. Qui, l’estate sarda è più clemente: l’ombra dei boschi e l’aria fresca offrono ristoro non solo dal caldo, ma anche dalla frenesia e dal rumore.

In cima, la statua del Redentore domina la vetta di Cuccuru Nigheddu. Imponente figura bronzea, opera dello scultore calabrese Vincenzo Jerace, fu eretta nel 1901 in occasione del Giubileo del 1900, quando papa Leone XIII chiese che in ogni regione d’Italia venisse innalzato un monumento al Cristo Redentore. Ogni anno, l’ultima domenica di agosto, il monte si trasforma nel centro spirituale della città con la Festa del Redentore. I nuoresi salgono in pellegrinaggio fino alla vetta e, ai piedi della grande statua, si celebra l’Eucaristia.

Ma il Redentore non è solo meta di grandi manifestazioni. Ogni giorno, singoli fedeli e piccoli gruppi – provenienti da Nuoro, dalla Barbagia e da ogni angolo dell’isola – salgono fin quassù in silenzio e raccoglimento. Si avvicinano alla statua per affidare preghiere, suppliche e ringraziamenti. Il grande piede bronzeo, scolorito e levigato da innumerevoli mani, testimonia questo quotidiano passaggio di devozione.

L’Ortobene, però, non è soltanto la vetta. Sulle sue pendici, tra gli alberi, sorge la Chiesa della Solitudine. Qui riposa Grazia Deledda, premio Nobel per la Letteratura nel 1926, figura centrale della letteratura sarda e italiana. Nuoro si è guadagnata il titolo di “Atene sarda” per il fervore culturale che l’ha animata sin dall’Ottocento. Artisti, scrittori e pensatori come Salvatore e Sebastiano Satta, Francesco Ciusa e la stessa Deledda le diedero fama oltre i confini dell’isola. Non si può parlare di Nuoro, della sua spiritualità e cultura, senza ricordare monsignor Ottorino Pietro Alberti, figlio illustre della città e arcivescovo di Cagliari dal 1987 al 2003. Teologo, storico e pastore, fu uomo di vasta cultura e profonda spiritualità, sempre intimamente legato a Nuoro. A essa dedicò molte delle sue energie intellettuali, riconoscendone l’unicità nel panorama culturale e religioso della Sardegna.

Parlando della grande Festa del Redentore, l’arcivescovo sottolineava come «non si potrebbe pensare alla Sagra del Redentore, e per ciò stesso alla statua che ne è simbolo e occasione, se non vista nell’ambiente geografico che è il centro ideale della festa, ossia il Monte Ortobene. Ma il Monte Ortobene fa parte di Nuoro, e non come elemento coreografico: della città è parte integrante, vitale, documentaristica. Esso ha valore d’immagine capace di rivelare un passato, una storia».

Il Monte Ortobene si offre come una vera oasi isolana — spirituale, culturale e naturale — profondamente amata dai nuoresi e capace di accogliere chi cerca silenzio e bellezza, in un angolo di Sardegna che, in questo periodo, resta lontano dalle rotte più battute del turismo balneare.

di Leonardo Piras (Articolo pubblicato su Kalaritana Avvenire del 3 agosto)

 


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