
(foto www.unionesarda.it)
A metà febbraio sono previsti i primi trasferimenti di detenuti in regime di 41-bis nel carcere di Uta. L’arrivo dei 92 reclusi ha suscitato preoccupazione tra le istituzioni locali.
«Dal Governo – sottolinea il presidente del Consiglio regionale, Piero Comandini – ci attendiamo e pretendiamo lealtà e correttezza istituzionale. Non è accettabile che decisioni che possono turbare e modificare il tessuto sociale di interi territori e stravolgere l‘organizzazione penitenziaria regionale – come è appunto quella di trasferire in Sardegna i detenuti in regime di 41 bis – , siano calate dall’alto senza che ci sia stato preventivamente un adeguato coinvolgimento delle istituzioni regionali, delle comunità e delle popolazioni locali. Le carceri sarde ospitano un numero già elevato di detenuti di massima sicurezza: decidere che debbano essere destinate esclusivamente ai condannati al 41bis è una scelta politica irresponsabile e prepotente, che la Sardegna non subirà senza far sentire con forza la sua voce, a cominciare dal Consiglio regionale».
Anche il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, chiede che «la Sardegna faccia sentire la sua voce», evidenziando rischi di infiltrazioni e l’assenza di risorse aggiuntive. Rivolge un appello ai parlamentari sardi affinché si oppongano alla decisione in Parlamento.
I sindacati concordano. «La Sardegna non può essere considerata una periferia funzionale», afferma Pier Luigi Ledda della Cisl Sardegna. Giovanni Villa, segretario generale regionale della FNS sottolinea che le decisioni penitenziarie impattano sulla sicurezza e sul funzionamento degli istituti e richiedono confronto e risorse adeguate.
La Cisl propone uno schema quadro Stato–Regione, con investimenti strutturali, rafforzamento degli organici e monitoraggio permanente. «La Sardegna non rivendica privilegi, ma il diritto a far parte di un progetto nazionale che costruisca responsabilità, coesione e futuro», concludono Ledda e Villa.
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