Politica

Referendum, Sardegna al voto tra diritti e riforme L'8 e 9 giugno i cittadini saranno chiamati alle urne su lavoro e cittadinanza

I cittadini italiani sono chiamati alle urne l’8 e 9 giugno per esprimersi su cinque quesiti referendari, quattro dei quali toccano aspetti centrali del mercato del lavoro e uno riguarda la riforma dei tempi per il conferimento della cittadinanza. Si tratta di un passaggio cruciale per l’assetto normativo del nostro Paese, che ha riacceso un vivace dibattito politico e sociale. Da un lato i promotori del «Sì», che chiedono l’abrogazione di norme considerate penalizzanti per i lavoratori. Dall’altro i sostenitori del «No» o dell’astensione, preoccupati, invece, dalle possibili ricadute su stabilità occupazionale e certezza del diritto.

Jobs act sotto accusa

Diversi esponenti della politica nazionale e locale hanno espresso, nel corso di numerosi momenti di confronto e di dibattito, posizioni autorevoli. Tra i protagonisti del fronte del «No», Teresa Bellanova, vicepresidente del Partito democratico europeo, respinge con decisione le motivazioni alla base dei quattro quesiti referendari promossi sul tema lavoro. «Sono quesiti – dichiara l’ex ministra– che guardano a una legge del 2014, il “Jobs Act”, senza considerare il contesto storico ed economico in cui nacque. All’epoca la disoccupazione giovanile superava il 50% nel Sud. Dopo quella riforma, non ci fu il temuto boom di licenziamenti: al contrario, abbiamo assistito alla creazione di nuove opportunità lavorative, anche grazie a Industria 4.0». Per Bellanova, i dati parlano chiaro. «Oggi – evidenzia – la disoccupazione giovanile è scesa al 19%. Non ci sono state altre riforme strutturali del lavoro nel frattempo, perciò questo risultato è legato proprio a quelle politiche». In particolare, Bellanova si oppone ai quesiti sul reintegro e sulle causali nei contratti a termine: «Tornare a causali rigide rischia – afferma – di spingere verso contratti più precari o lavoro nero, non certo verso la stabilità». Sul quesito legato alla cittadinanza, invece, Bellanova sostiene con convinzione le posizioni a favore. «Persone che vivono, lavorano, pagano le tasse in Italia devono – dice – poter accedere alla cittadinanza in tempi ragionevoli. Dieci anni sono troppi: la proposta di ridurre a cinque anni è un atto di giustizia e civiltà».

Tutele e cittadinanza

Di segno opposto, sul tema lavoro, la posizione di Fausto Durante, segretario generale della Cgil Sardegna, tra i più attivi sostenitori del fronte del «Sì». «Vogliamo restituire centralità e dignità al lavoro. In quarant’anni, le varie riforme del mercato del lavoro hanno – spiega il sindacalista – solo peggiorato le condizioni delle persone, aumentato la precarietà e abbattuto le tutele». Durante parla di un’Italia dove, a suo giudizio, «il lavoro è diventato merce da supermercato», denunciando l’insicurezza diffusa. «I salari sono tra i più bassi d’Europa, i contratti stabili – dice – sono l’eccezione, e continuiamo a contare morti sul lavoro in appalti e subappalti dove si risparmia sulla sicurezza». Per il leader sindacale, votare «Sì» rappresenta, quindi, una svolta. «È il primo passo – evidenzia – per riportare il lavoro al centro della vita pubblica e della politica. Il referendum dà voce a milioni di cittadini stanchi di precarietà, licenziamenti facili e abusi nei contratti a termine». Anche sulla cittadinanza, la posizione espressa dalla Cgil è chiara: «Chi lavora e vive onestamente in Italia deve – afferma il segretario Durante – poter diventare cittadino dopo cinque anni. È una questione di equità, inclusione e civiltà».

L’indicazione di astensione

Si colloca invece sulla stessa lunghezza d’onda espressa da molti esponenti del centrodestra, anche Paolo Truzzu, capogruppo di Fratelli d’Italia nel Consiglio regionale della Sardegna. «Questi referendum non ci convincono. La nostra posizione è chiara: astensione». Una strategia che punta a non contribuire al raggiungimento del quorum e che riflette un disaccordo di fondo con la filosofia dei quesiti: «Sono proposte sbagliate, non migliorano il sistema e – conclude Truzzu – non offrono vere soluzioni ai problemi del lavoro».

Andrea Pala (Articolo pubblicato su Kalaritana Avvenire domenica 1 giugno)


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