“Tessitori di speranza”: la Diocesi si prepara alla Giornata mondiale del migrante La riflessione di Enrico Porru, direttore diocesano Migrantes: "Come missionari, gli immigrati testimoniano questa importante virtù"

«Migranti, missionari di speranza» è il titolo del messaggio per 111ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che quest’anno si celebra in coincidenza con il Giubileo del mondo missionario e dei migranti, il 4 e 5 ottobre. La coincidenza eccezionale, voluta da papa Francesco, è colta da papa Leone XIV come «l’occasione di riflettere sul nesso tra speranza, migrazione e missione». Il collegamento tra queste tre parole è, quindi, il filo conduttore del messaggio del Papa di cui cercherò di cogliere gli aspetti più significativi.

Un primo nesso nasce dalla preoccupazione del Papa che, nonostante i tristi scenari e le grandi devastazioni che si presentano oggi agli occhi dell’umanità intera e che determinano per tante persone e intere popolazioni l’obbligo di abbandonare la propria terra d’origine, cresca nel cuore dell’uomo «il desiderio di sperare in un futuro di dignità e di pace per tutti». Un futuro anticipato dai profeti, inaugurato da Gesù e quindi già iniziato anche se in attesa del suo compimento definitivo. Dio stesso ha posto nei nostri cuori l’aspirazione alla felicità, che risponde alla virtù della speranza, e la sua ricerca è «una delle principali motivazioni della mobilità umana contemporanea».

Un altro collegamento è quello tra migrazione e testimonianza della speranza vissuta nella quotidianità: è un’esperienza concreta vissuta da molti migranti e rifugiati che, nonostante tutto, si affidano a Dio e sopportano grandi difficoltà intravvedendo l’avvicinarsi della felicità. Questo li rende veri e propri messaggeri di speranza, testimoni eroici di una fede che dona loro la forza di superare le difficoltà anche a rischio della propria vita. Come non vedere un richiamo forte affinché la nostra società occidentale, a volte così «sedentarizzata», triste, fragile e depressa, viva con fiduciosa speranza nel futuro senza adagiarsi in presunte sicurezze? E gli uomini del nostro tempo non temano di vivere con speranza la dimensione pellegrina di una Chiesa che è popolo di Dio in cammino?

In una società che smette di essere «nel mondo» e diventa «del mondo» i migranti e i rifugiati cattolici possono diventare missionari di speranza aiutando comunità appesantite a rivitalizzarsi, a rinnovare i percorsi di fede e ad avviare il dialogo interreligioso. Spesso anche a ringiovanirsi accogliendo i nuovi italiani, le cosiddette seconde generazioni, che ormai vivono fianco a fianco con i loro coetanei, frequentano le stesse scuole, imparano la nostra lingua.

Per il Papa questa presenza è «una vera benedizione divina, un’occasione per aprirsi alla grazia di Dio», che deve essere riconosciuta e apprezzata ma che porta anche in sé la responsabilità dell’evangelizzazione. Come quella, ad esempio, degli emigrati nei paesi che li accolgono che il Papa considera una «vera missio migrantium» che però ha bisogno di essere preparata e sostenuta adeguatamente da comunità collaboranti tra loro, accoglienti, capaci di testimoniare concretamente la speranza, valorizzare i talenti di ciascuno, riconoscere migranti e rifugiati come fratelli e sorelle e non solo persone da aiutare. La sfida è impegnativa ma necessaria se vogliamo costruire «un mondo che assomigli sempre di più al Regno di Dio».

di Enrico Porru, direttore Ufficio diocesano Migrantes

(articolo pubblicato su Kalaritana Avvenire)


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