L'intervista

World Humanitarian Day, Cavalletti: «Serve prendere consapevolezza dei paradossi che viviamo» Il responsabile del Servizio Africa di Caritas italiana ha parlato ai microfoni di Radio Kalaritana in occasione della giornata mondiale dell'aiuto umanitario

Un operatore umanitario in Bangladesh | Foto Caritas Internationalis

Dedicare la propria vita agli altri, a quel prossimo che vive le difficoltà della quotidianità in un contesto di conflitto e sofferenza. Il lavoro in campo umanitario è sempre più complesso e pericoloso, ma non per questo meno importante. Si celebra oggi, martedì 19 agosto, il World Humanitarian Day, giornata internazionale dedicata al lavoro degli operatori umanitari e al ricordo di coloro che hanno perso la vita facendo il proprio lavoro. Una giornata che assume ancora più valore in un contesto globale sempre più segnato dalle guerre, oltre che dagli effetti nefasti della crisi climatica in diverse parti del mondo.

Impegno continuo

Anche Caritas è tra le realtà che più tentano di fare la propria parte nel contesto internazionale a favore dei più deboli. Dall’Africa all’Asia Occidentale ed Orientale, passando per l’America centrale e Meridionale, le risposte da dare sono tante. E questo a fronte di un minor rispetto del diritto internazionale e di fondi a disposizione sempre minori.

«La pericolosità vissuta dagli operatori umanitari che operano sul campo è strettamente collegata al mancato riguardo del diritto internazionale che sta contraddistinguendo l’epoca che stiamo vivendo – ha affermato dei microfoni di Radio Kalaritana Fabrizio Cavalletti, responsabile del Servizio Africa di Caritas Italiana e referente per la promozione di opere nel mondo Le crisi umanitarie oggi più che mai sono provocate tutte dall’uomo: c’è una responsabilità umana rispetto alle cause che aumenta i bisogni e c’è però anche un non riguardo di quelle norme internazionali che con tanta fatica negli anni si sono sviluppate per la protezione dei civili, delle vittime delle guerre e delle crisi climatiche».

Sempre più vittime

Gaza, Ucraina, Myanmar, Congo, Sudan, Sud Sudan: sono solo alcune delle zone dove si combatte a scapito dei civili che ogni giorno perdono la vita e di coloro che rimangono vivi tra le macerie che rendono impossibile intravedere un futuro. Un destino che colpisce anche gli operatori umanitari. «Così come muoiono i civili, purtroppo, così muoiono e aumenta il pericolo per coloro che cercano di assistere le persone in difficoltà. Nel 2024 – racconta Cavalletti – sono morti ben 380 operatori umanitari, un numero mai riscontrato in alre fasi della storia. Anche Caritas purtroppo ha avuto le sue vittime: due operatori umanitari a Gaza sono rimasti sotto le bombe, insieme agli altri almeno 60mila civili che sono morti n questa crisi, lo stesso in Niger, in Congo e anche in Sudan. Questi operatori sono soprattutto locali, quindi non fa notizia come dovrebbe. Ma i morti ci sono».

Per questo c’è bisogno di una diversa consapevolezza, anche di ciò che accade nei luoghi che finiscono poche volte tra le prime pagine dei giornali.  «È anche un compito di Caritas – ha continuato il referente – quello di cercare di far conoscere le cause, di far prendere un po’ di coscienza alla popolazione, di far capire cosa bisogna chiedere anche ai leader politici rispetto a un impegno per la pace, per il contrasto ai cambiamenti climatici e per un impegno a sostenere la risposta umanitaria».

Il paradosso

Proprio la decisione di diversi governi di tagliare le spese nel settore è uno dei principali problemi al momento vissuti dall’intero sistema globale di aiuti.

«Sappiamo dei tagli dell’amministrazione Trump all’agenzia USAID – spiega ancora Cavalletti – ma lo stesso hanno fatto stati europei e questo per aumentare la spesa per il settore della difesa. Questo va denunciato, perché l’aumento delle spese militari è speculare a una riduzione – già attuata in precedenza perché i piani di risposta umanitari delle Agenzie delle Nazioni Unite erano sottofinanziati e hanno subito un ulteriore taglio – dei fondi per gli aiuti umanitari. Lo abbiamo visto anche in Gran Bretagna, che ha ridotto di 6 miliardi di sterline il bilancio per gli aiuti umanitari all’estero e aumentato dello stesso tanto le spese in termini di difesa. Viviamo una grande contraddizione in quest’epoca in cui si destinano soldi alle armi per fare le guerre, che provocano le crisi umanitarie, per le quali però non vengono messi a disposizione i fondi per rispondere ai bisogni essenziali: un paradosso nel paradosso di cui però – afferma Cavalletti – bisogna prendere consapevolezza per cercare di spingere chi ha le leve del potere a cambiare rotta».


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