
Cinque quesiti, quattro sul lavoro – di cui tre relativi all’impianto stabilito nel 2015 con il cosiddetto Jobs Act – e uno sulla cittadinanza. Referendum che puntano ad abrogare una legge o una sua parte, ma che soprattutto avranno effetti reali solo se voterà il 50%+1 degli aventi diritto. Questi i numeri della tornata di referendum dell’8 e 9 giugno prossimi. I seggi saranno aperti domenica 8 dalle 7 alle 23, mentre lunedì 9 si potrà votare dalle 7 alle 15. Con i votanti che dovranno avere con sé per entrare in cabina documento d’identità e tessera elettorale ed esprimersi così su tematiche delicate che interessano però tutta la comunità.
I quesiti
Il primo quesito, su scheda verde, riguarda il contratto di lavoro a tutele crescenti e la disciplina dei licenziamenti illegittimi. Dal 2015, per i lavoratori di aziende con più di quindici dipendenti licenziati in maniera illegittima è previsto un indennizzo economico tra le 6 e le 36 mensilità. L’obiettivo dei proponenti è quello di abrogare la norma e tornare all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, pur rivisitato dalla Legge Fornero, e prevedere così l’obbligo di reintegro in tutti i casi di licenziamento illegittimo. Il secondo quesito, scheda arancione, punta all’abrogazione del tetto massimo di indennità dovuta ai lavoratori di aziende con meno di quindici dipendenti in caso di licenziamento illegittimo. I proponenti chiedono che sia un giudice a stabilire volta per volta, senza limiti predefiniti, l’indennità stessa. Il terzo quesito guarda invece al reinserimento della causale in tutti i contratti a termine. Stando al Jobs Act, la causale nei contratti a termine oggi è obbligatoria solo per accordi che valgono per 12 o più mesi. Il quarto e ultimo quesito sul lavoro riguarda invece una norma del 2008 sulla responsabilità solidale negli appalti. In questo caso, la volontà è quella di ritenere responsabili e aventi gli stessi obblighi nei confronti del lavoratore che ha subito un grave infortunio sul luogo di lavoro tutti gli attori coinvolti: committente, appaltatore e eventuale subappaltatore. Infine, la quinta scheda, di colore giallo, è quella relativa al quesito sulla cittadinanza. L’obiettivo dei proponenti è quello di portare il numero di anni di residenza regolare in Italia per richiedere la cittadinanza da 10 a 5 anni, tornando così al testo originario della legge del 1992. Tutti gli altri requisiti – non aver commesso reati, reddito stabile, conoscenza dell’italiano, pagamento delle tasse e non rappresentare un pericolo per la sicurezza della Repubblica – rimarrebbero invariati. Potenzialmente, invece, verrebbero ridotti i tempi per la concessione della cittadinanza: a oggi tra richiesta ed esame della domanda (fino ai tre anni) gli anni necessari sono 13, con l’abrogazione scenderebbero a 8.
Matteo Cardia (Articolo pubblicato su Kalaritana Avvenire del 1 giugno)
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